GINO  MONTEFINALE
GINO MONTEFINALE
TEMPESTA CON VELIERI
TEMPESTA CON VELIERI

Leggendo  “Da Portovenere a Coltano” forse i meno informati si domanderanno quale sia il nesso tra questi due luoghi, ma anche l'attinenza tra questi e l'argomento Telegrafia, visto che qui, di Telegrafia, ne parliamo diffusamente.

 

Avrei potuto scrivere su questo argomento con parole mie sulla scorta delle conoscenze acquisite dopo essermi documentato adeguatamente, ma sarebbe mancato, mi si passi l’espressione, “l’effetto presenza”, ovvero l’autorevolezza di quanto affermato, non considerando poi la possibilità di cadere in inesattezze e contraddizioni che si aggiungerebbero a quelle già in circolazione.

 

Allora ho preferito la testimonianza diretta tratta da uno scritto di Paolo Noceti.

 

Sorvolando sulla biografia di questi, che è possibile reperire sul sito www.paolonoceti.it , quello che certifica l’autenticità, l’esattezza di quanto esposto è dato dal fatto che Paolo Noceti era, ed è, il genero di Gino Montefinale, l’ultimo testimone dell’opera Marconiana, avendo sposato la figlia del Comandante Montefinale.

 

Ultimamente ho avuto uno scambio di mail proprio con Paolo Noceti e devo dire che non senza una punta di orgoglio ho accennato al mio lungo soggiorno, negli anni 80, a Portovenere essendo io militare di carriera, luogo di nascita del Grande Comandante Montefinale. 

 

 

 

 

 

Lo scritto che segue fu redatto su espressa richiesta dei Lions pisani interessati allora alla preparazione del libro ed. Felici "Coltano e la stazione radiotelegrafica - Guglielmo Marconi -. Un racconto attraverso immagini e documenti"

 

 

      DA PORTOVENERE A COLTANO

 

    di Paolo NOCETI

 

15 luglio 1897 erano giovanissimi entrambi, l'uno, Guglielmo Marconi, aveva  ventitre anni, l'altro, Gino Montefinale ne aveva sedici.

 

Entrambi, nelle ore centrali della mattina di quel giorno, erano in mare; l'uno, Marconi da Bologna, a bordo di un rimorchiatore della Marina Militare (il poi famoso storico rimorchiatore n° 8);

l'altro, Montefinale da Portovenere, ai remi di un gozzo ligure.

 

L'uno, Marconi, attorniato da anziani alti ufficiali della nostra Regia Marina, tutti intenti a guardare l'operare, ed ascoltare il dire di Lui, del giovane Maestro di teorie e scoperte inusitate, affascinanti, sconvolgenti;

l'altro, Montefinale, ad ammirare estatico il Personaggio che il compagno di navigazione, prof. Manfroni, gli indicava come colui che era riuscito a far parlare l'etere". Da questo incontro lontano, a vista, il futuro.

 

Entrambe le imbarcazioni, il rimorchiatore e il gozzo, con moto lento fendevano le acque in "calma piatta" della rada marina chiusa, quasi lago, tra Punta Monaca, Torre Scola, l'isola Palmaria, la palazzata di Portovenere, il seno dell'Olivo e il Cavo.

 

Tre anni dopo, il 15 agosto 1900, Montefinale accede alla Regia Accademia Navale di Livorno.

 

Dodici anni dopo, il primo dicembre 1909, a Marconi fu conferito il premio Nobel per la fisica .

 

Nel 1909, Montefinale, immersosi subitamente nel fantastico,

sconvolgente mondo della radiotelegrafia senza fili, con il grado di Sottotenente di Vascello della Regia Marina, è momentaneamente "a terra" ad istruire ventiquattro Sottufficiali semaforisti che, di stanza al Varignano delle Grazie di La Spezia, aspirano al brevettodi Capo Posto di Stazione Radiotelegrafica.

 

Non si ha traccia di esultanza Montefinale per l'avvenuto grande riconoscimento mondiale all'Inventore; tutto, per lui, per quanto a Marconi attribuito, appare scontato, logico, conseguente, dovuto.

 

Inutile esultare per "i riconoscimenti" Montefinale esulta, si esalta per i risultati.

 

Il 18 maggio di quell'anno grida:

"oggi è stata una giornata di trionfo per il telefono senza fili. Le esperienze hanno avuto luogo fra la Partenope ancorata nel Golfo di La Spezia e l'Eridano, ormeggiata in prossimità della stazione r.t. di San Vito. Al detector del Varignano la ricezione è stata molto nitida  e si sono uditi benissimo i vari discorsi scambiati tra gli operatori.  

Oggi ho avuto conferma che al glorioso sistema Marconi, cedendo il passo a questi nuovi sistemi di comunicazione per piccole distanze,  resterà il dominio degli oceani lanciando i suoi poderosi messaggi attraverso quei mari che di conseguenza non separeranno più i  

continenti."

 

E ancora, di nuovo per mare, eccolo, imbarcato sulla Regia Nave Staffetta, dinanzi al porto di Massaua. Da lì assiste e scrive:

"al posto manovra, sul castello di prua, un suono ritmico, metallico e conosciuto che ha dei sibili acuti e musicali giunge al mio orecchio: siamo a due chilometri da terra. Aguzzo l'occhio, guardo, sulla bassa penisola di Abd-el-Kader, illuminata dalla luna, guizzano dei lampi violacei di scintille elettriche. Riconosco, non credo ai miei sensi, la Stazione Radiotelegrafica di Massaua è pronta. Corro in stazione, ricevo le prime trasmissioni, sono telegrammi diretti in Italia, per la via di Coltano, al Ministero, a Guglielmo Marconi che è là a ricevere - evviva! - in questa serata storica del 14 novembre 1910, mentre l'ancora cade pesantemente dentro il porto di Massaua, il mio cuore esulta di questo trionfo della radiotelegrafia, di questa nuova conquista della civiltà".

Sfogliando il calendario del 911, nel   mondo della radiotelegrafia appare un nome vistoso, a caratteri cubitali: esso è COLTANO.

Compiuta infatti la ben nota impresa radiotelegrafica della regia Nave Carlo Alberto (1902) l'Italia lungimirante di allora o meglio la benemerita nostra Marina Militare prese in esame il sogno di Marconi riguardante l'idea di impiantare una stazione ultrapotente in Italia.

 

Nel 1903 il Parlamento con una apposita legge autorizzava la sua costruzione, nella località giudicata adatta da Marconi stesso,

nella piana pisana di Coltano.

 

Nel 1904, alla presenza del Re, si celebrò la posa simbolica della prima pietra della stazione.

 

Il 19 novembre 1911, Marconi spedì dalla novella stazione di Coltano questo messaggio al Direttore del New York Times:

" I miei migliori saluti trasmessi per telegrafo senza fili dall'Italia in America - Pisa - 5,47 pom."

 

Nel calendario del 1912, apparendo accadimenti calamitosi e sventurati quali furono: la guerra italo-turca sul suolo africano, il tragico naufragio del Titanic e il grave infortunio automobilistico di Marconi, viene a far notizia una particolarità che giudico  sentimentalmente opportuno ricordare alla "pisanità". Di quell'anno, scrive così Marconi:

"fu per me un alto onore l'aver potuto, con l'approvazione dei Ministri della Guerra e della Marina, recarmi in Tripolitania e Cirenaica a bordo della Regia Nave PISA durante il principio delle ostilità italo-turche. Colà potei dimostrare la possibilità di ricevere

radiotelegrammi trasmessi da Coltano   impiegando anziché un'antenna sostenuta da alberi o da torri, un semplice conduttore disteso sulla sabbia."

 

Ma è nel 1925 e poi nel 1930 che, dopo aver percorso mezzo se non tutto il mondo per costruire stazioni radiotelegrafiche, ecco ilpassaggio metaforico"da Portovenere a Coltano" che rende chiarezza e giustizia al titolo che ho desiderato dare a questo mio scritto.

 

Gino Montefinale nel frattempo Ufficiale Superiore della Marina Militare e Capo Servizio della Radio partecipa e dirige i lavori di rinnovamento della stazione di Coltano con un complesso Marconi a valvole termoioniche per onde corte, disponibile tanto per il servizio

radiotelegrafico che radiotelefonico, destinato alle navi ed alle stazioni poste a grande distanza come in Cina.

Il Centro di Coltano divenne il più importante fra quelli radio-marittimi europei e con l'andar degli anni, sino al 1930, venne ulteriormente ammodernato disponendovi stazioni funzionanti su 4 onde, potendo così comunicare con le stazioni di tutto il mondo.

Nel maggio 1932 - a mezzo della stazione di Coltano - fu inaugurato il servizio pubblico radiotelefonico dall'Italia con il piroscafo Conte Rosso, destinato alla linea Trieste-Shanghai, e dopo alcuni mesi, quelli con il Rex ed il Conte di Savoia, addetti alla linea del Nord America (su questa linea navigò mio padre come Ufficiale addetto alla radiotelegrafia).

 

Coltano non fu il traguardo per Gino  Montefinale da Portovenere, fu uno dei "trampolini" di lancio che il fato pone

dinanzi ad ognuno. Il traguardo ambito, sognato: operare per Guglielmo Marconi, fu raggiunto quando l'Inventore stesso lo chiamò a dirigere le sue nuove Officine Radio di Genova.

Montefinale nel 1934 lasciò la Marina Militare e "convolò" al fianco di Marconi.

Coltano un passaggio importante, forse decisivo; Genova il traguardo di arrivo finale; Portovenere il luogo di "adescamento e invito" alla grande avventura della radio.

 

 

 


GINO MONTEFINALE CON GUGLIELMO MARCONI SULL'ELETTRA

 

 

 

MEMORIE SENZA FILI


conferenza tenuta al Lions Club Pisa, presso l'Hotel Duomo di Pisa il 10/11/2005

PAOLO NOCETI
PAOLO NOCETI

A questa mia “AVVENTURA PISANA” ho sentito il bisogno di dare un titolo. Questo è il titolo:

M E M O R I E   S E N Z A   F I L I

Siete voi, egregi membri del Lions Club pisano i responsabili, anche se inconsapevoli, di questa mia avventurosa presenza.
Siete colpevoli perché con una delle vostre benemerite iniziative, anche in me, profano vostro interlocutore, avete provocato, sfruculiandolo e stuzzicandolo, quell’angolo non remoto del mio essere dove da tempo risiede ciò che amo definire il TEMPIO DELLE MEMORIE.
Mi avete provocato, pubblicando pregevoli volumi, lo avete fatto indicando come meta ambiziosa:
un recupero, voglio dire il recupero.
Si, il recupero di quelle strutture e di quelle residue ormai fatiscenti attrezzature che furono gloria, espressione di intelligenza e genio, manifestazione di orgoglio di quell’Italia nostra che con pervicace insistenza e, credo, programmata, colpevole intenzione si è nel tempo cercato di far dimenticare.
I portatori orgogliosi del gonfalone che ha guidato e guida il vostro cammino di… memorie intendo rammentarli subito.
Il dottor Roberto Spisni e il dottor Paolo Stefanini, con il loro entusiasmo, con la loro dedizione, con la loro volontà di fare per ricordare,  hanno provocato lo stimolo necessario e indispensabile per far scattare quella mia molla che ahimè, anche per la non più tenera età, sembrava rotta.
Loro:
Spisni già vostro presidente e Stefanini  presidente attuale e quindi dotato di “campana”;
con voi: illustri associati di questa preziosa istituzione pisana;
hanno e avete deciso:
facciamo rivivere la gloria di Coltano.
Ed ecco, in questo “facciamo rivivere”, le memorie in me suscitate che, romanticamente desidero oggi definire “memorie senza fili”.
E di queste stimolate memorie, provocato, sono venuto a raccontarvi:
ho avuto la fortuna di vivere in anni ormai lontani periodi, ahimè brevi (anch’io un tempo non remoto ho intensamente lavorato godendo di poche ferie) ho avuto la fortuna di vivere dicevo accanto all’uomo che ebbe la sorte di essere prescelto da Guglielmo Marconi come suo stretto e diretto collaboratore e, successivamente, come Direttore delle gloriose e finalmente italiane Officine Marconi di Genova.
Quell’uomo che al momento indico, anche per doveroso rispetto, come uomo con la U maiuscola, era Ufficiale Superiore della nostra allora Regia Marina e Ingegnere;
da lui, che il fato ha voluto fosse il nonno dei miei figli, gli entusiasmi, le passioni, il racconto  di  tempi  fantastici, irripetibili.
Ho avuto la fortuna di sentir narrare:

“…ricordo sempre quel mattino di luglio del lontano 1897 – una tipica giornata dell’estate soleggiata del Golfo dei Poeti – quando, girovagando in barca nelle placide insenature di Portovenere, insieme al prof. Manfroni, vedemmo spuntare dal Cavo un piccolo rimorchiatore della Marina, il cui albero era stato allungato in modo inconsueto. Procedeva a piccolo moto, attardandosi lungo le allora romantiche calette, non ancora manomesse dalla modernità, fino a giungere all’imboccatura del piccolo Stretto e sostare un po’ a lungo davanti alle case ed agli approdi dello storico Borgo.”
 
Quel rimorchiatore che il narratore intravide, era il famoso rimorchiatore n°8, una delle prime, se non la prima, “navicella” che il giovane Marconi, attorniato da adulti e seriosi ufficiali della Marina Militare Italiana, utilizzava per dar dimostrazione pratica della sua grande invenzione.
Fu quella una visione che per l’Uomo con la U maiuscola (allora sedicenne) può essere definita vaticinio; quella visione fu per lui (queste sono mie deduzioni) l’indicazione di un percorso da seguire e di un traguardo da raggiungere.
Il “percorso” tra virgolette di quest’Uomo, ebbe dunque ideale inizio a Portovenere.
Di Portovenere non sto qui a descrivere le bellezze e le vestigia; ho saputo che nella scorsa primavera, Portovenere, un folto gruppo di voi Lions pisani la ha visitata e Portovenere con il suo mare, le sue coste, le sue scogliere, le sue isole  ha accolto il gruppo pisano con l’abituale, generoso abbraccio… marinaro fatto di brezze, di schizzi, di profumi, di risacca.
E da Portovenere  ecco che l’Uomo raggiunse il primo sognato traguardo: l’accesso ai corsi superiori dell’Accademia Navale di Livorno.
Era il 15 agosto del 1900, quando quell’Uomo, appena diciannovenne, varcò gli storici, esclusivi cancelli di quel sacrario del mare che sfiora la chiesetta di Sant’Iacopo e si aggancia alle secche dell’Ardenza.

 


 

 

Era epoca quella in cui nel mondo delle scienze, ma soprattutto in quello della Marina si faceva un gran parlare di quell’invenzione marconiana che ancora tuttavia faceva sorgere dubbi e discussioni e attendeva conferme.
E’ del 1900 “la cosiddetta trasmissione oltre l’orizzonte” che condusse al famoso storico brevetto 7777 registrato in Inghilterra il 25 febbraio 1901.
Il nostro Uomo portovenerese, pur se immerso nel mondo accademico della marineria, ricordò quella visione del rimorchiatore/vaticinio del 1897;
credette;
iniziò a studiare, si sprofondò negli studi, si entusiasmò.
Si entusiasmò perché, forse inconsapevolmente sapeva, sentiva che stava per essere trovato qualcosa di ciò che da sempre l’uomo  cercava: vincere gli elementi che gli condizionavano l’esistenza;
tra quegli elementi, ben lo sappiamo. avevano predominio la “distanza” ed il “tempo”.
Il nostro Uomo, a differenza di una moltitudine di consimili ahimè di nostra stessa nazionalità (l’Italia  ha sempre creduto con fatica e per ultima nel genio dei suoi figli migliori), percepì che era sopravvenuta l’era delle trasmissioni libere attraverso lo spazio con la stessa velocità della luce.
Ed eccolo, il nostro Uomo, fervente pioniere marconiano, Ufficiale Istruttore per radiotelegrafisti; Direttore del Servizio Radiotelegrafico della Somalia Italiana; progettista e Direttore lavori delle stazioni radiotelegrafiche Mahadei Wen e Iscia Bardoa; Direttore della Stazione Radiotelegrafica di Massaua; Direttore della Stazione radiotelegrafica di Pola; progettista e direttore dei lavori per l’istallazione di apparecchi ad onde corte presso la Stazione della Regia Marina a Pechino; nominato dalla Marina Militare Italiana Capo Servizio della Radio; progettista e Direttore dei lavori per la erigenda prima Stazione Radiotelegrafica vaticana.
 
Questa, l’avventura scientifica “militare” dell’Uomo che adesso credo sia giunto il momento di chiamare con il suo nome e cognome. Sino ad ora ho parlato di un ragazzo prima e di un uomo poi. Di un ragazzo e di un uomo di Portovenere; da questo momento parlerò di:
Gino Montefinale.
Ed egregi signori, comprenderete adesso il perché di questo mio dire;
dire, che è stato preambolo, cappello all’argomento principe che ha fatto scattare quella “mia già richiamata malandata molla”.
Gino Montefinale, prima di intraprendere la successiva sua “avventura marconiana” (è bene precisare che sino ad ora ho parlato della sua “avventura nel mondo della Marina per la radiotelegrafia”), arrivò a Pisa (erano i primi anni trenta), trovò signorile, calda ospitalità, sul vostro Lungarno romantico, assolato e allora silenzioso ove alzava la sua imponente struttura l’Albergo Nettuno (oggi come tale non mi sembra esista più) e assunse la direzione di quel progetto grandioso di avanguardia che trasformò la già esistente Stazione di Coltano da normale ad ultrapotente; con ciò facendola divenire il centro radiomarittimo ad onde corte di primaria importanza dotato di trasmettitori Marconi.
Coltano, il suo nome nel mondo della radio venne pronunciato per la prima volta da Marconi quando questi, venuto a Roma nel 1903 su invito del Governo italiano, scelse questa località, compresa nella tenuta reale di San Rossore, come ideale luogo per l’istallazione di un impianto radiotelegrafico.
Per quanto dalle memorie scritte e verbali  di Montefinale ho potuto recepire, la costruzione del nuovo impianto, iniziata nel 1904, subì per cause varie dei gravi ritardi. Quella che mi si disse l’odissea del centro di Coltano fu descritta con una affermazione poco lusinghiera:
“la parte più importante della storia della radio in Italia, con tutte le sue peripezie tecniche, politiche ed economiche, si è  svolta praticamente a Coltano”.

 

 


COLTANO OGGI
COLTANO OGGI

 

 

Che tristezza. Ricordando questo antefatto e trascrivendo questa storica affermazione (è di Luigi Solari), rilevo con grande rammarico e profondo sconforto che il male italiano di allora è quello che ci perseguita adesso e che “un vento nuovo” di recente venuto a spirare, spera di poter sconfiggere.
La prima visita di Marconi a Coltano, questo dicono le mie memorie, avvenne nel 1904; egli vi ritornò per l’inaugurazione della Stazione radiotelegrafica il 19 novembre 1911 quando fu eseguito il collaudo attraverso le trasmissioni con Massaua, Mogadiscio e Glace Bay.
In tempi recentissimi, destando in voi associati e in me in particolare ammirazione e viva riconoscenza, ecco una giovane ragazza, studentessa pisana di ingegneria, forse sognatrice, certamente donna “del fare” che con la sua tesi di laurea offre a Pisa e all’Italia “il progetto di restauro architettonico-ambientale della Stazione radiotelegrafica Guglielmo Marconi di Coltano”.
E’ Angela Pezzini la giovane ingegnere che con violenza giovanile, buon intuito e notevoli capacità tecniche, si inserisce nel mondo fascinoso delle mie “memorie senza fili”.
Ed è ancora un’altra persona: attiva, capace e romantica perché pittore e incisore e noto scrittore di Altopascio che si inserisce in queste memorie.
E’ Alberto Parducci che con un suo dotto articolo e storico e tecnico apparso  sul periodico “Storia e Battaglie” del dicembre 2003, così da inizio  alle sue memorie:
“parlare di Coltano è per me un po’ come eseguire un tuffo nei lontani e nostalgici ricordi afferente l’intero arco temporale degli anni compresi tra il 1934 e il 1943…
A Coltano è legato anche il nome e il ricordo di mio nonno – continua il Parducci - Capitano Nocchiere Francesco Barsella, di mio zio Eugenio Barsella, di un mio amico coetaneo, Rinaldo Pifferi, figlio di un collega di mio padre Mario Parducci (tutti membri del gruppo di tecnici della Marina Militare che con il loro lavoro anche intellettuale contribuirono alla costruzione, alla manutenzione ed alla conduzione della nuova potente Stazione).”
E conclude così il Parducci:
“ancora oggi pochi e gloriosi ruderi si oppongono ai venti quotidiani, solo la flora erbacea e arbustiva con le sue colorite tonalità continua ad agitarsi e piegarsi al loro alitare; qua e là è possibile osservare qualche improvviso volo di fagiani.”
Amara conclusione che certifica con tocco “macchiaiolo” lo stato di desolante, offensivo e colpevole abbandono di una delle tante vestigia storiche e gloriose di cui la nostra Patria è cosparsa.  
Ma ringraziando il Padre Eterno (molti di noi dicono “lo stellone”), l’Italia vera è esistita, è sopravvissuta, e, voi me lo dimostrate ancora oggi, vive. Visse e operò allora, in quegli anni lontani. Lo fece nonostante l’eterno persistente dilagare “dei mediocri” e il blaterare ignorante degli “ipocriti”.
Ed infatti, visse !
…ecco l’avventura marconiana di Gino Montefinale.
Quell’avventura ebbe materiale inizio a Roma sul finire del 1925 quando la Marina Militare Italiana lo nominò suo alto rappresentante presso il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni. 
Roma capitale, con i suoi Ministeri, lo vide nominato Capo Servizio della Radio.
Roma lo invia quale delegato della Marina Militare alla prima storica conferenza radio di Washington del 1927.
Quindi ancora, nel 1932, a Madrid dove venne elaborato il primo Regolamento Internazionale sull’impiego delle radiofrequenze.
 
In questo mio intervento che è di… Memorie, a questo punto e non mi sembra una stonatura, sento si possano inserire  due aneddoti.
Sono aneddoti;  anch’essi legati alle “Memorie”; ve li voglio raccontare.
 
Il primo è  breve, ma significativo e comunque storico. E’ un aneddoto da ricordare, da raccontare ai giovani, è parte delle “MEMORIE storiche  SENZA FILI”  minori… ma non troppo:
 “a Roma, sul finire del 1927, Gino Montefinale ebbe l’accortezza di far predisporre e di consegnare personalmente al radiotelegrafista Biagi, membro della spedizione polare del dirigibile Italia, una primordiale stazione radio portatile a onde corte. Ne raccomandò l’uso; fu infatti quella stazione con abilità e intelligenza utilizzata dal Biagi a far localizzare il 7 giugno 1928 la famosa “tenda rossa” di Umberto Nobile  tra i ghiacci artici dove, ricordate, il dirigibile Italia era precipitato.”
 
Un altro aneddoto?
Questo è molto personale ma per me tanto significativo ed oggi posso affermare, anche premonitore:

con orgoglio e commozione, anche nell’occasione che  oggi mi viene offerta,  intendo ricordare mio padre che, Ufficiale di Marina, prese parte ai primi corsi di radiotelegrafia diretti da Gino Montefinale.
Il brevetto di radiotelegrafista di prima classe di mio padre, uno dei primi brevetti internazionali rilasciati, datato 20 aprile 1912 infatti, riporta in calce la firma autografa del Capitano di Corvetta Capo del Reparto Radiotelegrafico Gino Montefinale.
Questo… benedetto… Gino Montefinale, era destino che mi dovesse… perseguitare: si pensi,  poi, dopo molti anni, nel 1961, Gino Montefinale  è divenuto mio suocero.
Un altro particolare di questo aneddoto:
l’annuncio, in tempi ahimè lontani, dell’avvenuta mia nascita, fu ricevuta da mio padre stesso, al momento in navigazione nell’Atlantico. In quel gennaio del 1931, mio padre era in ascolto  dei messaggi lanciati nello spazio dal telegrafo senza fili di Guglielmo Marconi.

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E riprendiamo il discorso di… memorie senza fili:
memorie di tempi lontani, memorie di centocinque anni fa, tramandate da scritti, note, racconti letti o ascoltanti dalla viva voce di protagonisti. Protagonisti entusiasti; protagonisti che credettero, quando molti, la maggioranza, non credeva; protagonisti giovani, che percepirono l’evolversi dei tempi; protagonisti disinteressati, silenziosi; uomini di mare consapevoli che quel Guglielmo Marconi geniale, stava finalmente donando alla marineria del mondo quella possibilità di comunicare, che annullando la solitudine, veniva ad offrire la consapevolezza che dei naviganti:
i bisogni, le esultanze, le preoccupazioni, la salvezza;
con le notizie delle tempeste e delle bonacce,
e quelle di vita, di famiglia, di comunità, di guerra, di pericolo, era possibile trasmetterli e riceverli.
In mare prima, poi, negli spazi infiniti, per la genialità di Marconi e per la dedizione dei suoi fedelissimi, l’uomo non era più solo. 
E per cercare di far comprendere quale fosse lo spirito di questi giovani pionieri marconiani ecco cosa Gino Montefinale,  tra i molti suoi scritti,  ricorda:
“sono sulla Regia Nave Staffetta, nel corso della mia prima campagna d’Africa;
 …a posto di manovra, sul castello di prua, un suono ritmico, metallico e conosciuto che ha dei sibili acuti e musicali, giunge al mio orecchio:
siamo a due chilometri da terra.
Aguzzo l’orecchio, guardo – sulla bassa penisola di Abdel-Kader, illuminata dalla luna, guizzano dei lampi violacei di scintille elettriche. Riconosco, non credo ai miei sensi; la Stazione radiotelegrafica di Massaua, costruita dalla Regia Marina, sotto la direzione del Tenente di Vascello Micchiardi, è pronta.

 

 

Corro in stazione, ricevo le prime trasmissioni, sono telegrammi diretti in Italia, per la via di Coltano, al Ministero, a Guglielmo Marconi che è là a ricevere.
Evviva! In questa serata storica del 14 novembre 1910, mentre l’ancora cade pesantemente dentro il porto di Massaua, il mio cuore esulta di questo nuovo trionfo della radiotelegrafia, di questa nuova conquista della civiltà.
L’indomani ricevo con piacere i modesti lavoratori che hanno compiuto questo miracolo di attività e di rapidità. Li vedo con tanto più piacere inquantochè sono tutti miei allievi dei corsi di radiotelegrafia svolti presso la Scuola Semaforisti di Spezia.”
 
Il “fidanzamento” (lo metto tra virgolette – mi piacciono le allegorie) di Gino Montefinale con Guglielmo Marconi fu di lunga durata. Ebbe inizio nel 1897, a Portovenere… con uno sguardo, ricordate?; gettò fondamenta stabili nel 1900, terminò nel 1933. Nell’anno di grazia 1934 ecco che Montefinale, abbandonata la Marina e convola a giuste “nozze” (sempre tra virgolette) con Marconi.
Posso affermare a chiare lettere che il viaggio di nozze di questa coppia illuminata fu condotto, guidato, protetto dal superbo, celebre panfilo Elettra.


PANFILO  ELETTRA
PANFILO ELETTRA

 

 

Nel luglio del 1934 il golfo del Tigullio con la sua capitale Santa Margherita, videro infatti la coppia compiere e seguire le esperienze di atterraggio cieco utilizzando le trasmissioni di un radiofaro ubicato sul litorale di Sestri Levante. Di quel fatto, ecco il ricordo scritto di Montefinale:
 
“Fu quello un vero e proprio simposio scientifico svoltosi in alto mare, davanti all’incantevole panorama della Riviera di Levante; un’intera giornata d’acqua salsa che dovette lasciare negli esperti che vi parteciparono, oltre all’amabile ospitalità di Marconi, l’impressione che la tecnica delle microonde aveva segnato il suo primo goal nella competizione con i vecchi sistemi ad onde più lunghe, fino allora considerati più pratici”
 
E il matrimonio non si sciolse il 20 luglio 1937 quando improvvisamente Marconi morì.
Il matrimonio, costruito su scienza affascinante, non ebbe il suo epilogo neppure a secondo conflitto mondiale concluso; esso resistette inflessibile agli urti della ridicola, vendicativa “epurazione” e trovò naturale scioglimento solamente il 21 dicembre 1974 quando al termine dell’anno marconiano (centesimo della nascita dello scienziato), l’Uomo di Portovenere, Gino Montefinale, all’età di 93 anni, in piena esuberante vitalità, improvvisamente si spense.
 
Un mondo senza fili, un mondo guidato da impulsi elettrici, da slanci giovanili, da caparbia volontà di scoprire, di conoscere, di dare.
Un mondo silenzioso di uomini che umilmente, giorno dopo giorno, studiando, pensando, provando e riprovando, viveva sul mare, sbattuto dai flutti, affascinato da quel silenzio che pur volendolo mantenere… silenzioso, intendevano sconfiggere.
E sul mare, dal mare gli stimoli, le scoperte, le certezze.
 
“Marconi, lo scienziato, fattosi uomo di mare per forza di cose, intento a strappare segreti di natura fisica allo spazio, non nella quiete di un posto di studio e di osservazione terrestre, ma sui ponti di un naviglio traballante sul mare! Tutto ciò mi spiegava molte cose sul modo, talvolta avventuroso, col quale Marconi aveva costruito la radio.”
E’ ancora questo, a finire, il pensiero di Gino Montefinale tramandato nei suoi scritti.
E’ un insegnamento questo suo pensiero. L’ho citato e lo cito spesso questo insegnamento, perché mi illudo (spero) che insistendo, questo tipo di messaggio possa raggiungere la mente e il cuore di qualcuno che oggi (o domani) è o sarà alla guida di una azienda, di una associazione, di una amministrazione, di un gruppo (e voglio aggiungere anche di una famiglia).
Questo insegnamento, a mio giudizio – tra le righe - , dice:
chi ha la fortuna e le doti per salire  su di un “ponte” di comando, abbia l’accortezza di scendere spesso sotto “coperta”, là vicino agli uomini che fanno;
cerchi di vivere da vicino e intimamente, lui uomo di “ponte”, il procedere dell’operare di coloro che “manualmente” fanno;
per capire cosa vuol dire FARE,
per comprendere  ed equamente compensare quegli uomini che FANNO,
magari per FARE manualmente accanto a coloro che FANNO.
Fare, fare, fare.
Magari provando e riprovando, anche traballando, ma  nel silenzio… silenziosamente; per sconfiggere le chiacchiere (molto in voga di questi tempi), per dare valore e credibilità e spazio a chi vuol lavorare con coscienza e intelligenza; silenziosamente e molto spesso, … senza… fili (volevo dire… senza raccomandazioni).
Illustri amici, ho finito.
Ancora un momento però. Ho in serbo per gli egregi Lions pisani una memoria storica che nel lontano 1974, alla Fiera di Milano, ebbi la fortuna di promuovere e di seguire nel suo varo.
Si tratta di un filmato storico rarissimo ed esclusivo.  Ve lo propongo con piacere.
L’ho conservato nel mio archivio di lavoro. Desidero oggi farlo vedere e farlo ascoltare  a voi miei concittadini toscani che sapete e volete onorare la MEMORIA.
Ascolterete la voce di Guglielmo Marconi che narra la “Storia della prima trasmissione transatlantica”.
Grazie. Adesso ho veramente finito.

 

 

 

 

 

 

 

PER GINO MONTEFINALE 

intervento presso il Circolo Ufficiali Marina Militare di Livorno, il 13 febbraio 2003

   

PRESENTAZIONE DEL LIBRO “GINO MONTEFINALE – UN RAGAZZO DI PORTOVENERE”

intervento presso il Circolo Ufficiali Marina Militare di Livorno, il 13 febbraio 2003

ACCADEMIA NAVALE DI LIVORNO
ACCADEMIA NAVALE DI LIVORNO

Come dare inizio a questo mio intervento? 
Una mano me l’ha data ancora Gino Montefinale. L’ho presa al volo quella mano, l’ho tenuta stretta.
 
Ho immaginato e immagino che Lui – Gino Montefinale – lo avrebbe gradito;
ho immaginato e immagino che subitamente occorra citare il nome del grande italiano “Guglielmo Marconi”;
ho desiderato che la citazione dei due nomi sia ravvicinata. Ravvicinata per rendere ulteriore omaggio a chi dedicò l’intera vita allo “studio” ed alla “scoperta” che sconvolse il mondo.   
 
Inizio dunque  con  questo autentico, significativo, storico scritto-ricordo che non è improprio chiamare LA VISIONE.
 
E’ in mare…, remeggiando nella rada di Portovenere, all’età di 16 anni, che…
ricordo sempre quel mattino di luglio del 1897 – una tipica giornata dell’estate soleggiata del Golfo dei Poeti – quando, girovagando in barca nelle placide insenature di Portovenere, insieme al professor Manfroni, vedemmo spuntare dal Cavo un piccolo rimorchiatore della Marina, il cui albero era stato allungato in modo inconsueto. Procedeva a piccolo moto, attardandosi lungo le allora romantiche calette, non ancora manomesse dalla modernità, fino a giungere all’imboccatura del piccolo stretto e sostare un po’ a lungo davanti alle case ed agli approdi dello storico Borgo.
        
Quel rimorchiatore (il famoso n°8) era una delle prime, se non la prima “navicella” che Marconi, attorniato da adulti e seriosi ufficiali della Marina Militare, utilizzava per dar dimostrazione pratica della sua grande invenzione.
Quel ricordo-visione descritto da Gino Montefinale, fu, per Lui:  vaticinio.
 Gino Montefinale infatti, divenne “un uomo di Guglielmo Marconi”.
Certamente, Gino Montefinale, è stata l’ultima fortunata persona che ha condiviso sulla fatidica Elettra, accanto allo Scienziato, le grandi conferme e le inebrianti anticipazioni che “l’invenzione della radio” giorno dopo giorno annunciavano.
Oggi che appare offuscata nella memoria patria e dei più l’immagine del Grande Italiano, ricordando e desiderando togliere dalla polvere del tempo anche  la figura di Gino Montefinale, ecco che sono andato a scrivere.
Ho scritto affascinato dagli avvenimenti, dai personaggi, dai tempi, dal percorso “ad astra” del Comandante; dallo studio sistematico, continuo degli uomini del mondo senza fili, dai loro  sacrifici, dai loro entusiasmi, dalla loro modestia. 
Questo fascino che nel tempo ha saputo suscitare in me la figura di Gino Montefinale e la sua avventura marconiana, ho cercato di descriverlo nel “saggio” che questa sera, gentili signore e gentili signori, Vi è presentato.
  
 
L’amicizia antica, giovanile, con il caro Rodolfo Bernardini, oggi  Presidente emerito  della gloriosa Istituzione pisana dei Cavalieri di Santo Stefano;
la lucidità, la lungimiranza e il fiuto degli Ammiragli Carta prima e Clara poi;
mi hanno offerto la possibilità di veder presentato questo mio “saggio” in questa prestigiosa sede livornese del Circolo Ufficiali della Marina Militare.
 
Il fascino suscitato in me dalla figura di Gino Montefinale, in questo luogo prestigioso e quindi di conseguenza, viene oggi esaltato:
 
- lo esalta il fatto di essere a Livorno sede di quell’Accademia Navale che nel lontano 1900 accolse il giovane Montefinale;
-  lo esalta il sentirmi ascoltato da Uomini che sul mare, hanno servito e servono la Patria;
-  lo esalta la consapevolezza che Marconi ed i suoi continuatori hanno operato anche per dare ai naviganti “il mezzo” di salvezza;
- lo esalta il sapermi in quella Livorno che nel 1941 mi vide giovanissimo studente affacciato ad una finestra dell’ultimo piano del palazzo che portava il numero 3 di Viale Regina Margherita (oggi Viale Italia) ad ammirare il deflusso serale, dall’Accademia verso il centro, di quei giovani accademisti in libera uscita che in gran parte, da ufficiali,  offrirono poi la loro vita alla Patria.
  
Sono invero legato al mare ed alla marineria da forti e duraturi legami;
la mia esaltazione senza dubbio è ed è stata stimolata da alcuni importanti particolari.
 
Una cara persona, di recente, a proposito del saggio presentato, mi ha scritto:
“tu devi avere nel tuo DNA gli spruzzi marini “u spruven”  respirati e assorbiti da tuo padre durante le innumerevoli mareggiate cui avrà assistito (traduco il detto “u spruven”. Per i portoveneresi “u spruven” è il mistral, vento di nord-ovest chiamano anche  provenzale)”.
 
Forse è vero, anche di spruzzi, di gocce, di brezze, di folate,  sono costruiti quei tenaci legami che mi hanno stretto nello scrivere e che mi stringono, oggi, nel parlarvi. Ma i legami certi, evidenti, tangibili, sono questi:
 
- mio Padre è stato ufficiale di marina e, cosa curiosa (per me commovente), essendo stato uno dei primi ufficiali italiani a conseguire il brevetto di prima classe di radiotelegrafista, fu discepolo dell’allora Istruttore Gino Montefinale (il brevetto che conservo porta la firma del Capitano di Corvetta Capo del Reparto Radiotelegrafico Gino Montefinale);
- la famiglia di mia Madre, nell’ultimo conflitto mondiale, ha donato alla Patria uno dei suoi figli migliori, Guido Galleschi – marinaio d’Italia, capo radiotelegrafista -;
- la famiglia di mia moglie, nel ramo Montefinale-Venturelli, ha anch’essa fatto dono alla Patria di un suo figlio giovanissimo, il sottufficiale Carlo Venturelli (medaglia di bronzo al valore); 
- un mio cognato – l’Ammiraglio Fabio Gnetti, sempre nell’ultimo conflitto mondiale – è stato decorato con medaglia d’oro per atto coraggioso e altamente rischioso di marineria;
- altro mio cognato – l’Ammiraglio Stelio Giorguli – ha combattuto l’ultimo conflitto mondiale sui gloriosi nostri mezzi subacquei;
- ho un giovane nipote – Giovanni Giorguli – che oggi, nella Marina Militare, vive intensamente e visceralmente il mare;
- sono convolato a nozze, impalmando l’ultima figlia dell’Ammiraglio Gino Montefinale.
 
Anche forte di questo… curriculum, ho affrontato con entusiasmo e gioia, ma anche con molto timore, il compito di scrivere di Gino Montefinale.
Ma l’Uomo e la materia senza ombra di dubbio erano e sono in grado di offrire spazi, i più aperti, per inseguire miraggi, anche romantici, di storia, di scienza, di poesia.
E cosa di meglio può essere offerto a chi desidera scrivere?
 
Ad entusiasmare la mia mente e la mia mano, anche la bellezza di un Borgo marinaro che amo profondamente, Portovenere.
 
A spronarmi, eccitandomi, il desiderio, mai represso, di tramandare avvenimenti, storia, personaggi che il tempo mi sembra tenda a velare di quella patina giallastra e polverosa che è “cinismo”; ripeto, “cinismo”: perché non è certamente “spiritualità”, non è certamente “sentimento”, non è certamente “riconoscenza” il lasciare che polvere venga fatta cadere e sedimentare su avvenimenti e personaggi legati alla storia della nostra Patria.
 
A spronarmi ancora, il desiderio di andare controcorrente, di onorare ed esaltare chi nella vita ha veramente meritato per studio, impegno, sacrificio, intelligenza, onestà.
 
Gino Montefinale, che ho avuto la fortuna di conoscere non solo per frequentazione, ma anche e soprattutto per apprendimento del suo pensiero filosofico di vita, mi ha fatto intravedere, come un secondo padre, i sentieri da seguire per raggiungere i corretti traguardi della vita. La sua saggezza non la sciorinava ai quattro venti (non era uno dei bla-bla-bla oggi molto in voga); la sua saggezza la faceva intuire, la faceva percepire anche nei suoi silenzi, con il suo esempio, nei suoi racconti, nei suoi studi, nella sua mitezza e nella semplicità dei suoi costumi.
 
Chi avrà la bontà di leggere il mio “saggio” vedrà Gino Montefinale accanto a Guglielmo Marconi nel corso delle vissute storiche avventure di quelle onde elettromagnetiche che sconvolsero il mondo;
lo vedrà giovinetto, in estatica ammirazione della grande America, patria della libertà e della democrazia;
lo vedrà romantico giovane ufficiale desideroso di conquistare la giovanissima Carlotta Faggioni;
lo saprà storico, giornalista, artista;
lo sentirà vibrare di entusiasmo e di scoramento.
 
Con questo mio saggio ho saldato un debito, l’ho fatto – ahimè - in non più tenera età, ma l’ho fatto; e l’ho fatto per restituire, non certo in eguale misura, un po’ di quell’affetto e di quella stima che Lui – Gino Montefinale -  ha saputo e voluto donarmi con  ferma dolcezza ed estrema signorilità.
 
E’ un “saggio” quello che vi è presentato, non è un libro, non ha la pretesa di esserlo. Ha una veste decorosa, semplice ma significativa; la professionalità del mio amico tipografo Stefano Fracassi di Casciana Terme, ha saputo imprimergli i caratteri, lo stile, la composizione che e l’Uomo e la materia richiedevano.
Ho tra l’altro ritenuto di mantenerlo “saggio” per non opprimere il lettore con le ricorrenti lungagnate che poco  possono aggiungere, se non dissertazioni retoriche, ripetitive e… pagine, pagine e pagine.
Ho desiderato essere breve, sintetico, essenziale. Non sono voluto entrare nel merito tecnico degli argomenti principe che hanno ammaliato Gino Montefinale (Marconi, le onde elettromagnetiche, la radio), non l’ho fatto anche perché non sono esperto in materia; il mio scritto è per tutti, ho desiderato che potesse essere letto e appieno compreso da tutti. Per me ha mostrato interesse l’Uomo Montefinale nella sua intera poliedrica personalità.
 
Mi sono prefisso di mostrare Gino Montefinale come esempio di saggezza, sapienza, volontà, onestà.  
 
Per illustrare l’Uomo, ho creduto occorresse ben poco. Egli, il suo divenire, il suo pensiero, parlano da soli, da qui i continui richiami ai suoi scritti ed alle sue memorie che nel mio “saggio” sono volutamente riportati.
 
Ho scritto poco nel mio “saggio” e, di conseguenza, questo  mio intervento conclusivo è di breve durata.
- Mi chiedo: questo mia brevità deluderà i potenziali nuovi lettori? 
 
Fatti – Brevità’ – Conclusioni positive;
questa la teoria dell’illustre Gino Montefinale ed anche di questo suo modesto biografo. Biografo che, tra l’altro ed a proposito, rivendica a pieno titolo, se non la nascita, la cittadinanza milanese.
  
Sono profondamente grato al Presidente di questo prestigioso Circolo Ufficiali Marina Capitano di Vascello Dell’Anna; sono grato all’illustre Amm. Clara; sono grato  alle care persone che confermandomi amicizia ed affetto, anche in questa occasione hanno voluto essermi accanto; sono grato a voi tutti, signore e signori che avete avuto la bontà di ascoltarmi. Vi ringrazio caldamente e, mi sia permesso, lasciatemi concludere con un:
 
VIVA LA BELLA NOSTRA GLORIOSA MARINA

 

 

 

 

 


 

 

  dal “LIONS CLUB PISA”:


 

     

       MEMORIE SENZA FILI

  

 

            di Paolo NOCETI

 


 

 

Siete voi, egregi membri del Lions Club pisano i responsabili, anche se inconsapevoli, di questa mia presenza.

Siete colpevoli perché con una delle vostre benemerite iniziative, anche in me, profano vostro interlocutore, avete provocato, sfruculiandolo e stuzzicandolo quell’angolo non remoto del mio essere dove da tempo risiede ciò che amo definire il TEMPIO DELLA MEMORIA.

Mi avete provocato, pubblicando pregevoli volumi, lo avete fatto indicando come meta ambiziosa: un recupero, voglio dire il recupero.

Si, il recupero di quelle strutture e di quelle residue oramai fatiscenti attrezzature che furono gloria, espressione di intelligenza e genio, manifestazione di orgoglio di quell’Italia nostra che con pervicace insistenza e, credo, programmata, colpevole intenzione si è nel tempo cercato di fardimenticare.


I portatori orgogliosi del gonfalone che ha guidato e guida il vostro cammino di…memorie intendo rammentarli subito.

Il dottor Roberto Spisni e il dottor Paolo Stefanini, con il loro entusiasmo, con la loro dedizione, con la loro volontà di fare per ricordare, hanno provocato lo stimolo necessario ed indispensabile per far scattare quella mia molla che ahimè, anche per la non più tenera età sembrava rotta.

Loro: Spisni già vostro presidente e Stefanini presidente attuale e quindi dotato di “campana”;

con voi: illustri associati di questa preziosa istituzione pisana;

hanno e avete deciso: facciamo rivivere la gloria di Coltano.

 

E, in questo “facciamo rivivere”, ecco le memorie in me suscitate che, romanticamente desidero oggi definire”memorie senza fili”.

 

E di queste stimolate memorie, ripeto provocato, sono venuto a raccontarvi:

 

ho avuto la fortuna di vivere in anni ormai lontani periodi, ahimè brevi (anch’io un tempo non remoto ho intensamente lavorato godendo di poche ferie) ho avuto la fortuna di vivere dicevo accanto all’uomo che ebbe la sorte di essere prescelto da Guglielmo Marconi come suo stretto e diretto collaboratore e, successivamente, come Direttore delle gloriose e finalmente italiane Officine Marconi di Genova.

Quell’uomo che al momento indico, anche per doveroso rispetto, come uomo con la U maiuscola, era Ufficiale Superiore della nostra allora Regia Marina e Ingegnere;

da lui, che il fato ha voluto fosse il nonno dei miei figli, gli entusiasmi, le passioni, il racconto di tempi fantastici, irripetibili.

Ho avuto la fortuna di sentir narrare:

“…ricordo sempre quel mattino di Luglio del lontano 1897 – una tipica giornata dell’estate soleggiata del Golfo dei Poeti - quando, girovagando in barca nelle placide insenature di Portovenere, insieme al prof. Manfroni, vedemmo spuntare dal Cavo un piccolo rimorchiatore della Marina, il cui albero era stato allungato in modo inconsueto. Procedeva a piccolo moto, attardandosi lungo le allora romantiche calette, non ancora manomesse dalla modernità, fino a giungere all’imboccatura del piccolo Stretto e sostare un po’ a lungo davanti alle case ed agli approdi dello storico Borgo.”

 

Quel rimorchiatore (il famoso rimorchiatore n°8) era una delle prime, se non la prima,“navicella”che il giovane Marconi, attorniato da adulti e seriosi ufficiali della Marina Militare Italiana, utilizzava per dar dimostrazione pratica della sua grande invenzione.

Fu quella una visione che per l’Uomo con la U maiuscola (allora sedicenne) può essere definita vaticinio; quella visione fu per lui (queste sono mie deduzioni) l’indicazione di un percorso da seguire e di un traguardo da raggiungere.

 

Il “percorso” tra virgolette di quest’Uomo, ebbe dunque ideale inizio a Portovenere.

Di Portovenere non sto qui a descrivere le bellezze e le vestigia; ho saputo che nella scorsa primavera, Portovenere, un folto gruppo di voi Lions pisani la ha visitata e Portovenere con il suo mare, le sue coste, le sue scogliere, le sue isole ha accolto il gruppo pisano con l’abituale, generoso abbraccio… marinaro fatto di brezze, di schizzi, di profumi, di risacca.

 

E da Portovenere ecco che l’Uomo raggiunse il primo sognato traguardo: l’accesso ai corsi superiori dell’Accademia Navale di Livorno.

Era il 15 Agosto del 1900, quando quell’Uomo, appena diciannovenne, varcò gli storici, esclusivi cancelli di quel sacrario del mare che sfiora la chiesetta di Sant’Iacopo e si aggancia alle secche del Ardenza.

Era epoca quella in cui nel mondo delle scienze, ma soprattutto in quello della Marina si faceva un gran parlare di quell’invenzione marconiana che ancora tuttavia faceva sorgere dubbi e discussioni e attendeva conferme.

E’ del 1900”la cosidetta trasmissione oltre l’orizzonte” che condusse al famoso storico brevetto 7777 registrato in Inghilterra il 25 Febbraio 1901.

 

Il nostro Uomo portovenerese, immerso nel mondo accademico della marineria ricordò quella visione del rimorchiatore/vaticinio del 1897,

credette;

iniziò a studiare, si sprofondò negli studi, si entusiasmò.

Si entusiasmò perché, forse inconsapevolmente sapeva, sentiva che stava per essere trovato qualcosa di ciò che da sempre l’uomo cercava:

vincere gli elementi che gli condizionavano l’esistenza, fra i quali avevano predominio, la “distanza” ed il “tempo”.

Il nostro Uomo, a differenza di una moltitudine di consimili ahimè di nostra stessa nazionalità (l’Italia ha sempre creduto con fatica e per ultima nel genio dei suoi figli migliori), percepì che era sopravvenuta l’era delle trasmissioni libere attraverso lo spazio con la stessa velocità della luce.

 

Ed eccolo, il nostro Uomo, fervente pioniere marconiano, Ufficiale Istruttore per radiotelegrafisti; Direttore del Servizio Radiotelegrafico della Somalia Italiana; progettista e Direttore lavori delle stazioni radiotelegrafiche Mahadei Wan e Iscia Bardoa; Direttore della Stazione Radiotelegrafica di Massaua; Direttore della Stazione Radiotelegrafica di Pola; progettista e direttore dei lavori per l’installazione di apparecchi ad onde corte presso la Stazione della Regia Marina a Pechino; nominato dalla Marina Militare Italiana Capo Servizio della Radio; progettista e Direttore dei lavori per la erigenda prima Stazione Radiotelegrafica vaticana.

 

Questa, l’avventura scientifica “militare” dell’Uomo, che adesso credo sia giunto il momento di chiamare con il suo nome e cognome. Sino ad ora ho parlato di un ragazzo prima e di un uomo poi di Portovenere; da questo momento parlerò di:


Gino Montefinale.

 

ED egregi signori comprenderete adesso il perché di questo mio dire;

dire, che è statp preambolo, cappello all’argomento principe che ha fatto scattare quella “mia già richiamata malandata molla”.

 

Gino Montefinale, prima di intraprendere la sua successiva “avventura marconiana” (è bene precisare che sino ad ora ho parlato della sua “avventura nel mondo della Marina per la radiotelegrafia”), arrivò a Pisa (erano i primi anni trenta), trovò signorile, calda ospitalità, sul vostro Lungarno romantico, assolato ed allora silenzioso ove alzava la sua imponente struttura l’Albergo Nettuno (oggi come tale non mi sembra esista più) e assunse la direzione di quel progetto grandioso di avanguardia che trasformò la già esistente Stazione di Coltano da normale ad ultrapotente; con ciò facendola divenire il centro radiomarittimo ad onde corte di primaria importanza dotato di trasmettitori Marconi.

Coltano, il suo nome nel mondo della radio venne pronunciato per la prima volta da Marconi quando questi, venuto a Roma nel 1903 su invito del Governo italiano, scelse questa località, compresa nella tenuta reale di San Rossore, come ideale luogo per l’installazione di un impianto radiotelegrafico.

Per quanto dalle momorie scritte e verbali di Montefinale ho potuto recepire, la costruzione del nuovo impianto, iniziata nel 1904, subì per cause varie dei gravi ritardi. Quella che mi si disse l’odissea del centro di Coltano fu descritta con una affermazione poco lusinghiera:

“la parte più importante della storia della radio in Italia, con tutte le sue peripezie tecniche, politiche ed economiche, si è svolta praticamente a Coltano”

Che tristezza. Ricordando questo antefatto e trascrivendo questa storica affermazione (è di Luigi Solari), rilevo con grande rammarico e profondo sconforto che il male italiano di allora è quello che ci perseguita adesso e che “un vento nuovo” di recente venuto a spirare, spera di poter sconfiggere.

La prima visita di Marconi a Coltano, questo dicono le mie memorie, avvenne nel 1904; egli vi ritornò per l’innaugurazione della Stazione radiotelegrafica il 19 Novembre 1911 quando fu eseguito il collaudo attraverso le trasmissioni con Massaua, Mogadiscio e Glace Bay.

 

In tempi recentissimi, destando in voi associati e in me in particolare ammirazione e viva riconoscenza, ecco una giovane ragazza, studentessa pisana in ingegneria, forse sognatrice, certamente donna “del fare” che con la sua tesi di laurea offre a Pisa e all’Italia “il progetto di restauro architettonico-ambientale della Stazione radiotelegrafica Guglielmo Marconi di Coltano”.

E’ Angela Pezzini la giovane ingegnere che con violenza giovanile, buon intuito e notevoli capacità tecniche, si inserisce nel mondo fascinoso delle mie “memorie senza fili”.

 

Ed è ancora un’altra persona: attiva, capace e romantica perché pittore e incisore e noto scrittore di Altopascio che si inserisce in queste memorie.

E’ Alberto Parducci che con un suo dotto articolo e storico e tecnico apparso sul periodico “Storia e Battaglie” del Dicembre 2003, così da inizio alle sue memorie:

“parlare di Coltano è per me un po’ come eseguire un tuffo nei lontani e nostalgici ricordi afferente l’intero arco temporale degli anni compresi tra il 1934 e il 1943…

A Coltano è legato anche il nome e il ricordo di mio nonno, Capitano Nocchiere Francesco Barsella, di mio zio Eugenio Barsella, di un mio amico coetaneo, Rinaldo Pifferi, figlio di un collega di mio padre Mario Parducci (tutti membri del gruppo di tecnici della Marina Militare che con il loro lavoro anche intellettuale contribuirono alla costruzione, alla manutenzione ed alla conduzione della nuova potente Stazione).

 

E conclude:


ancora oggi pochi e gloriosi ruderi si oppongono ai venti quotidiani, solo la flora erbacea ed arbustiva con le sue colorite tonalità continua ad agitarsi e piegarsi al loro alitare; qua e là è possibile osservare qualche improvviso volo di fagiani.”

 

Amara conclusione che certifica con tocco “macchiaiolo” lo stato di desolante, offensivo e colpevole abbandono delle vestigia storiche e gloriose di cui la nostra Patria è cosparsa.

 

Ma ringraziando il Padre Eterno (molti di noi dicono “lo stellone”), l’Italia vera è esistita, è sopravvissuta, e, voi me lo dimostrate ancora oggi, vive. Visse e operò allora, in quegli anni lontani. Lo fece nonostante l’eterno persistente dilagare “dei mediocri” e il blaterare ignorante degli “ipocriti”.

 

Ed infatti, visse!

 

…ecco l’avventura marconiana di Gino Montefinale.

Quell’avventura ebbe materiale inizio a Roma sul finire del 1925 quando la Marina Militare Italiana lo nominò suo alto rappresentante presso il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni.

Roma capitale, con i suoi Ministeri, lo vide nominato Capo Servizio della Radio.

Roma lo invia quale delegato della Marina Militare alla prima storica conferenza radio di Washington del 1927.

Quindi ancora, nel 1932, a Madrid dove venne elaborato il primo Regolamento Internazionale sull’impiego delle radiofrequenze.

 

In questo mio intervento che è di…Memorie, a questo punto e non mi sembra una stonatura, sento si possano inserire due aneddoti.

Sono aneddoti; sono anch’essi “Memorie”; ve li voglio raccontare.

 

Il primo è breve, ma significativo e comunque storico. E’ un aneddoto da ricordare, da raccontare ai giovani, è parte delle “MEMORIE storiche SENZA FILI” minori…ma non troppo:

“ a Roma, sul finire del 1927, il Comandante Gino Montefinale ebbe l’accortezza di far predisporre e di consegnare personalmente al radiotelegrafista Biagi, membro della spedizione polare del dirigibile Italia, una primordiale stazione radio portatile ad onde corte. Ne raccomandò l’uso; fu infatti quella stazione con abilità ed intelligenza utilizzata dal Biagi a far localizzare il 7 Giugno 1928 la famosa “tenda rossa” di Umberto Nobile tra i ghiacci artici dove, ricordate, il dirigibile Italia era precipitato.”

 

Un altro aneddoto?

Questo è molto personale ma per me tanto significativo ed oggi posso affermare, anche premonitore:

“con orgoglio e commozione, anche nell’occasione che oggi mi viene offerta, intendo ricordare mio padre che, Ufficiale di Marina, prese parte ai primi corsi di radiotelegrafia diretti da Gino Montefinale.

Il brevetto di radiotelegrafista di prima classe di mio padre, uno dei primi brevetti internazionali rilasciati, datato 20 Aprile 1912 infatti, riporta in calce la firma autografa del Capitano di Corvetta Capo del Reparto Radiotelegrafico Gino Montefinale.

Questo…benedetto…Gino Montefinale, era destino che mi dovesse… perseguitare: si pensi, poi, dopo molti anni, nel 1961, Gino Montefinale è divenuto mio suocero.

 

Un altro particolare di questo aneddoto:

l’annuncio, in tempi ahimè lontani, dell’avvenuta mia nascita, fu ricevuto da mio padre stesso, al momento in navigazione nell’Atlantico. In quel Gennaio 1931, mio padre era in ascolto dei messaggi lanciati nello spazio dal telegrafo senza fili di Guglielmo Marconi.

 

E riprendiamo il discorso di…memorie senza fili:

 

memorie di tempi lontani, memorie di centocinque anni fa, tramandate da scritti, note, racconti letti o ascoltati dalla viva voce di protagonisti. Protagonisti entusiasti; protagonisti che credettero, quando molti, la maggioranza, non credeva; protagonisti giovani, che percepirono l’evolversi dei tempi,; protagonisti disinteressati, silenziosi; uomini di mare consapevoli che quel Guglielmo Marconi geniale, stava finalmente donando alla marineria del mondo quella possibilità di comunicare, che annullando la solitudine, veniva ad offrire la consapevolezza che dei naviganti:

i bisogni, le esultanze, le preoccupazioni, la salvezza; con le notizie delle tempeste e delle bonacce, e quelle di vita, di famiglia, di comunità, di guerra, di pericolo, era possibile trasmetterli e riceverli.

In mare prima, poi, negli spazi infiniti, per la genialità di Marconi e per la dedizione dei suoi fedelissimi, l’uomo non era più solo.

 

E per cercare di far comprendere quale fosse lo spirito di questi giovani pionieri marconiani ecco cosa Gino Montefinale, tra i molti suoi scritti, ricorda:

 

“sono sulla Regia Nave Staffetta, nel corso della mia prima campagna d’Africa;

…a posto di manovra, sul castello di prua, un suono ritmico, metallico e conosciuto che ha dei sibili musicali, giunge al mio orecchio: siamo a due chilometri da terra.

Aguzzo l’orecchio, guardo – sulla bassa penisola di Abdel-Kader, illuminata dalla luna, guizzano dei lampi violacei di scintille elettriche. Riconosco, non credo ai mie sensi; la Stazione radiotelegrafica di Massaua, costruita dalla Regia Marina, sotto la direzione del Tenente di Vascello Micchiardi, è pronta.

Corro in stazione, ricevo le prime trasmissioni, sono telegrammi diretti in Italia, per la via di Coltano, al Ministero, a Guglielmo Marconi ghe è là a ricevere.

Evviva! In questa serata storica del 14 Novembre 1910, mentre l’ancora cade pesantemente dentro il porto di Massaua, il mio cuore esulta di questo nuovo trionfo della radiotelegrafia, di questa nuova conquista della civiltà.

L’indomani ricevo con piacere i modesti lavoratori che hanno compiuto questo miracolo di attività e di rapidità. Li vedo con tanto più piacere inquantochè sono tutti miei allievi dei corsi di radiotelegrafia svolti presso la Scuola Semaforisti di Spezia.

 

Il “fidanzamento” (lo metto tra virgolette – mi piacciono le allegorie) di Gino Montefinale con Guglielmo Marconi fu di lunga durata. Ebbe inizio nel 1897, a Portovenere…con uno sguardo, ricordate?; gettò fondamenta stabili nel 1900, termino nel 1933. Nell’anno di grazia 1934 ecco che Montefinale, abbandonata la Marina convola a giuste “nozze” (sempre tra virgolette) con Marconi.

Posso affermare a chiare lettere che il viaggio di nozze di questa coppia illuminata fu condotto, guidato, protetto dal superbo, celebre panfilo Elettra.

Nel Luglio del 1934 il golfo del Tigullio con la sua capitale Santa Margherita, videro infatti la coppia compiere e seguire le esperienze di atterraggio cieco utilizzando le trasmissioni di un radiofaro ubicato sul litorale di Sestri Levante. Di quel fatto, ecco il ricordo scritto di Montafinale:

“Fu quello un vero e proprio simposio scientifico svoltosi in alto mare, davanti all’incantevole panorama della Riviera di Levante; un’intera giornata d’acqua salsa che dovette lasciare negli esperti che vi parteciparono, oltre all’amabile ospitalità di Marconi, l’impressione che la tecnica delle microonde aveva segnato il suo primo goal nella competizione con i vecchi sistemi ad onde più lunghe, fino ad allora considerati più pratici”

E il matrimonio non si sciolse il 20 Luglio 1937 quando improvvisamente Marconi morì.

Il matrimonio, costruito su scienza affascinante, non ebbe il suo epilogo neppure a secondo conflitto mondiale concluso; esso resistette inflessibile agli urti della ridicola, vendicativa “epurazione” e trovò naturale scioglimento solamente il 21 Dicembre 1974 quando al termine dell’anno marconiano (centesimo dalla nascita dello scienziato), l’Uomo di Portovenere, all’età di 93 anni, in piena esuberante vitalità, improvvisamente si spense.

 

Un mondo senza fili, un mondo guidato da impulsi elettrici, da slanci giovanili, da caparbia volontà di scoprire, di conoscere, di dare. Un mondo silenzioso.

Un Istituto eccellente di ricerca a Livorno, l’Istituto per le Telecomunicazioni e l’Elettronica “Giancarlo Vallauri”, presso il quale il Prof. Ugo Tiberio lavorò e

realizzò nel 1940 il suo prototipo

definitivo di radar, continua ancor

oggi ad esistere ed a fare ricerca, anche se con una denominazione diversa rispetto all’originaria e, naturalmente, in altri settori di attività.

L’Istituto ha da poco compiuto novant’anni, essendo stato fondato nel 1916, ma nonostante sia da sempre dentro il comprensorio dell’Accademia Navale e nonostante sia noto in campo nazionale ed internazionale per i suoi meriti scientifici, è sconosciuto alla massima parte dei livornesi.

Appare dunque utile offrire alla città un

ulteriore contributo di consapevolezza e conoscenza delle proprie realtà.

Quando l’Istituto fu fondato, nel 1916,

si era nel pieno della prima guerra mondiale. Occorrevano armi e mezzi tecnici sempre più efficienti.

Consapevole della necessità di

perfezionare al massimo le radiocomunicazioni, la Regia Marina volle fondare allora un Istituto di eccellenza nel settore, con il duplice scopo di occuparsi dello studio segnamento della radiotecnica ai futuri ufficiali, fino ad allora costretti a recarsi all’estero - principalmente Francia ed Inghilterra - per apprenderne gli elementi fondamentali.

Fu così costituito a Livorno il 26 ottobre 1916, con Decreto luogotenenziale n.1.571, l’“Istituto Elettrotecnico e Radiotelegrafico della R. Marina”, acronimo I.E.R.T., e ne fu affidata la prima direzione a Giancarlo Vallauri, all’epoca la massima autorità in materia, vincitore di concorso qualche mese prima presso la R. Accademia Navale come docente e quindi già di stanza a Livorno, per di più lui stesso ufficiale di Marina.

Uscito infatti dalla R. Accademia Navale nel 1903, promosso guardiamarina con il massimo dei voti e la sciabola d’onore,

Giancarlo Vallauri si era poi dimesso

dalla R. Marina nel 1906, per dedicarsi

definitivamente, dopo la laurea nel 1907 a Napoli in ingegneria elettrotecnica, all’insegnamento universitario.

Il decennio dal 1916 al 1926, sotto la direzione del prof. Vallauri, fu eccezionalmente fecondo per l’I.E.R.T., sia per gli importanti risultati scientifici che vi furono raggiunti, sia per i valorosi giovani che vi accorsero numerosi a lavorare ed a studiare, richiamati dalla fama di scienziato e di “Maestro” del suo direttore.

Questi giovani, una volta usciti dall’I.E.R.T., formeranno ovunque scuole ed istituti di radiotecnica fra i migliori d’Italia4. Tre sono i campi di attività a cui si dedicò l’I.E.R.T.:e della ricerca nei campi dell’elettrotecnica, della radiotelegrafia e della radiofonia, così da essere al corrente ed all’altezza del progresso internazionale e capace di contribuire a tale progresso2,

ed al tempo stesso impartire in loco l’insegnamento.

Gli audion, brevettati nel 1907 dall’ingegnere americano Lee de Forest, sono valvole termoioniche a tre elettrodi, noti anche come triodi. Le loro peculiari funzioni, tra cui quella amplificatrice in campo audio evidenziata dal nome audion, ne determinarono ben presto un uso sempre più diffuso nella radiotelegrafia, anche se un decennio dopo, nel 1916, il loro funzionamento teorico continuava a rimanere pressoché oscuro.

Fu proprio Giancarlo Vallauri, dopo numerose ricerche condotte su vari tipi di audion nel laboratorio tubi a vuoto volutamente organizzato presso l’I.E.R.T., che per primo ne schematizzò il funzionamento, passando dall’approccio

empirico, valido, ma non sufficiente, ad una “teoria degli audion” analiticamente formulata, nella quale le caratteristiche di questi tubi elettronici sono espresse

nell’“equazione del Vallauri”, lineare e

semplicissima, riportata su tutti i testi di elettronica dell’epoca.

Un breve aneddoto sull’Istituto e gli

audion: per le esigenze della guerra in

corso contro l’Austria e l’Ungheria, con

l’industria elettronica in ginocchio, il Ministero competente chiese all’I.E.R.T. di farsi carico anche della loro costruzione.

L’Istituto, nonostante l’esiguità dell’organico

- in tutto 5 militari, compreso il

direttore, e 6 civili, di cui 5 operai - arrivò a produrne 400 esemplari al mese quasi una piccola serie industriale, e per

questo risultato ricevette anche un pubblico elogio!

Terminata la prima guerra mondiale, la

fabbricazione dei tubi a vuoto ritornò

all’industria privata.

L’I.E.R.T. potè così dedicarsi, a partire

dal 1919, alle comunicazioni a grande distanza, divenute nel frattempo un settore strategico per la Marina e la nazione.

La R. Marinagià disponeva della stazione Radio Roma-S. Paolo, ma subito dopo la prima guerra mondiale essa decise di dotarsi di un impianto più potente.

La scelta cadde su Coltano, a metà strada tra Livorno e Pisa, per più motivi, quali l’esistenza in loco di una stazione Marconi, già parzialmente operativa dal 1910, da cui furono derivate le stazioni minori del moderno centro radio di Coltano coloniale e continentale e la vicinanza dell’I.E.R.T. che consentiva di provvedere al progetto ed alla direzione dei lavori e del servizio in modo conveniente e senza alcuna spesa.

Il centro radio di Coltano, che divenne

la prima grande stazione italiana ed una delle primissime del mondo, è estremamente interessante per i suoi apparati.

Per collegare l’Italia con i paesi più lontani fino alle massime distanze terrestri usando onde lunghissime di 16 Kilometri, il prof. Vallauri dovette portare tutte le parti dell’impianto ai livelli tecnici più spinti.

Ne sono un esempio perfino

impressionante oltre l’antenna, chiamata anche padiglione aereo, montata nel 1922, cui fu data la forma di un enorme reticolo quadrilatero di 420 metri di lato, i suoi quattro “giganteschi” piloni di sostegno, ognuno alto 250 metri e con peso proprio di 80 tonnellate, tenuto su da 36 controventi, più uno speciale al vertice, il cui montaggio fu compiuto da semplici marinai con le solite mirabili doti di abilità ed abnegazione.

La stazione radio di Coltano entrò regolarmente in funzione il 15 aprile 1923, con collegamenti con Massaua, Mogadiscio, l’Estremo Oriente, le navi lontane, il Levante, il Canada e gli Stati Uniti d’America.

In verità, i risultati ottenuti nel campo

della frequenza più che al prof. Vallauri, che comunque li supportò e di cui continuò ad interessarsi anche dopo il 1926, quando andò ad insegnare al Politecnico di Torino, sono dovuti ai suoi collaboratori, in particolare a Francesco Vecchiacchi ed a Mario Boella.

I primi metodi di misura della frequenza, basati sull’utilizzo di onde stazionarie, insistevano su una linea bifilare lunga più di mezzo chilometro. Richiedevano pertanto l’impiego di molte persone, procedure complesse e strumenti complicati, con risultati in ogni caso poco stabili e scarsamente ripetitivi.

Ad opera dei professori Vecchiacchi e Boella, invece, non solo furono ideati e realizzati nuovi metodi di misura basati sul confronto di segnali aventi la frequenza in rapporto armonico tra loro, ma furono anche progettati i primi banchi in grado di misurare la frequenza sino a 100MHz e fatte significative ricerche sulla frequenza e la metrologia del tempo, come evidenziano i numerosi articoli, tutti di notevole interesse scientifico, pubblicati sull’argomento presso l’Istituto, da I.E.R.T. nel frattempo divenuto R.I.E.C., acronimo di “Regio Istituto Elettrotecnico”. Non c’è dubbio comunque che il nome R.I.E.C. sia legato soprattutto alle vicende del primo radar italiano ed alle microonde.

Si tratta di due eventi di valore storico

eccezionale, entrambi avviati presso

l’Istituto in anni diversi, il cui connubio si rivelò fondamentale per la realizzazione di quel prototipo che Ugo Tiberio, già nel 1935, in un primo manoscritto purtroppo andato perduto, aveva progettato e chiamato radiotelemetro.

Per costruire il radar ad impulsi fu infatti obbligo, falliti i tentativi di impiegare un trasmettitore ad onda continua modulato in frequenza, utilizzare i tubi a microonde genialmente progettati allo scopo dal prof. Carrara, un altro ricercatore presente in Istituto dal 1924, universalmente noto per la sua teoria delle microonde, che divenne così il principale collaboratore del prof. Tiberio.

Spetta infatti proprio a Nello Carrara il

merito di aver assegnato nel 1932, per la prima volta nella letteratura scientifica, il termine microonde alle oscillazioni della gamma centimetrica e di aver poi ideato valvole di potenza atte a generarle e riceverle, come le famose “pentole del Carrara”, così scherzosamente chiamate in Istituto per la forma arrotondata, del tutto simile appunto ad una pentola da

cucina!

Terminata, con l’armistizio dell’8 settembre 1943, la splendida avventura del primo radar italiano, di cui il prof. Tiberio detiene indiscussa la paternità, gli eventi successivi imposero dapprima il decentramento del R.I.E.C. a Campo S.

Martino (PD), poi la sospensione di qualsiasi sua attività scientifica.

Solo il 16 luglio 1947 l’Istituto potè fare ritorno a Livorno, come sezione staccata alle dipendenze di Mariperman La Spezia, ancora con la denominazione, ovviamente senza più l’appellativo Regio, di “Istituto Elettrotecnico e delle Comunicazioni della Marina” (indirizzo telegrafico Marinelettro).

Con il 1 aprile 1957 l’autonomia dell’Istituto fu finalmente ripristinata e la sua denominazione cambiata in “Istituto Radar e Telecomunicazioni della Marina Militare” (indirizzo telegrafico Mariteleradar).

L’aggiunta “Giancarlo Vallauri”, a far data dal 6 maggio 1960, vuole rendere omaggio al suo fondatore e primo direttore.

La denominazione è significativa dei nuovi campi divenuti strategici nello scenario politico mondiale degli anni ‘60-’80 del Novecento e che l’Istituto seppe affrontare con un’intensa attività di studio e sperimentazione che contribuì non poco alla nascita della ricerca scientifica in Italia e dell’industria elettronica nazionale.

Alcuni nomi sono presenti anche

oggi nella realtà industriale del paese:

le Officine Galileo, la Nuova Pignone, la Finmeccanica, l’Oto Melara, la Magneti Marelli e così via.

Un altro aneddoto: l’Istituto fu incaricato nel 1980 di progettare e costruire in tutta fretta i prototipi delle antenne per i terminali satellitari UHF da impiegare in Irpinia, colpita dal terremoto.

La richiesta fu “naturalmente” esaudita

e lo Stato Maggiore Difesa espresse

all’Istituto il proprio riconoscimento per l’alta professionalità e l’elevato spirito di sacrificio messo in luce durante la tempestiva realizzazione del complesso.

Queste antenne, utilizzate poi anche in

Libano (1982/1984), per comunicare

con i nostri soldati in missione di pace,

non solo sono tuttora efficienti, ma addirittura ancora tecnicamente valide!

La legge 1 ottobre 1984 n. 637 ha sancito all’art. 1 l’istituzione dell’Istituto per le Telecomunicazioni e l’Elettronica della Marina Militare “Giancarlo Vallauri” (indirizzo telegrafico Mariteleradar) in

sostituzione del primitivo I.E.R.T. “continuandone l’attività scientifica”.

A partire dal 1 luglio 2007 infine, a seguito della ristrutturazione da tempo in atto all’interno della Marina Militare, l’Istituto è entrato a far parte del Centro di Supporto e Sperimentazione Navale di La Spezia (indirizzo telegrafico CSSN – ITE Livorno).

Oggi, come recita la nuova denominazione, l’Istituto assolve ai suoi compiti istituzionali nei campi delle Telecomunicazioni e dell’Elettronica, spaziando dai settori storici come i sensori Radar, le Antenne e le Telecomunicazioni vere e proprie, a quelli più recenti ed attuali come la Compatibilità Elettromagnetica e la Superficie Equivalente Radar, in continua evoluzione al passo con i tempi e sempre nell’interesse della Marina Militare e del paese.

Attualmente l’Istituto occupa, all’interno dell’Accademia Navale, un intero fabbricato a due piani prospiciente il mare dove hanno sede gli uffici gestionali, gran parte dei laboratori, l’officina ed i magazzini - e tre infrastrutture separate.

L’edificio principale è quello originario, modificato al secondo piano.

Altre tre infrastrutture sono ubicate a Tirrenia (PI).

Il personale è altamente specializzato, militare e civile in uguale numero, per complessive sessanta unità circa, a vari livelli di professionalità.

I 13 laboratori, le 13 stazioni di misura, fisse e mobili, e gli oltre 400 strumenti, di cui l’Istituto dispone, permettono di effettuare sulle Unità Navali misure di valutazione ed efficienza degli apparati elettronici di bordo che sono difficilmente realizzabili altrove, sia in scenario operativo (mare aperto) che in scala (modelli), impiegando anche potenti codici numerici di simulazione.

Il Poligono Antenne di Tirrenia, ad esempio, in cui vengono usati modelli in scala in rame delle Unità Navali, espressamente realizzati, è unico nel suo genere in Italia sia per dimensioni che per risorse strumentali in dotazione!

Intensa poi è anche l’attività di collaborazione che l’Istituto dà alle ditte di settore, all’Università - di Pisa, Firenze e Siena in particolare - agli altri centri di ricerca, sia italiani che stranieri, e naturalmente all’Accademia Navale, cui continua a fornire supporto didattico per i propri ufficiali.

Gli ultimi avvenimenti di cui l’Istituto è stato promotore e fautore - i convegni del 2004 e del 2005, il simposio del 2006 e la giornata dedicata a Nello Carrara nel 2007 - testimoniano non solo questa molteplice attività, ma soprattutto l’attualità dei temi e con essa la capacità dell’Istituto di rinnovarsi e di porsi ancora una volta come cerniera e punto di incontro tra la realtà industriale e il mondo accademico.

2 - Vedi il Regolamento d’Istituto, approvato con Decreto ministeriale in data 27 novembre 1916.

3 - I familiari del prof. Vallauri hanno fatto dono della sua sciabola d’onore all’Istituto, dove è conservata in bacheca, nell’ufficio del Direttore.

 

 

 

 

 

 

 

Intervento di presentazione del libro


L'ULTIMO TESTIMONE - GINO  MONTEFINALE
 
al Lions Club Pisa, presso l'Hotel Duomo di Pisa il 28 settembre 2006


 

Quella che mi state offrendo è una gran bella serata amici Lions pisani.
Ed è, tra l’altro, una serata che mi inorgoglisce.
 
Ricordare Gino Montefinale;
ricordarlo, presentandolo ad un illustre consesso come Ultimo Testimone della nascita, dei primi vagiti e del trionfo della radiotelegrafia marconiana;
farla, questa presentazione, in questa cara Pisa che di storia, di arte, di sapienza e scienza è intrisa, è motivo di orgoglio. All’orgoglio si mischia commozione.


 
Parlare della vita e dell’opera di un personaggio al quale sono stato e sono legato da legami parentali e da profondo affetto, converrete con me che può provocare commozione.
Una commozione che già altre volte ho vinto, sentendomi investito di una missione.
La missione di ricordare, di far ricordare un personaggio eccezionale. Eccezionale per intelligenza, scienza, sapienza, onestà, purezza di ideali.
Ciò che ormai ritengo una missione mi permette  di mettere anche voi a parte di riflessioni personali provocate in me, sin da giovinetto, da quell’argomento marconiano che mi lega ormai da un po’ di tempo anche con voi Lions pisani.
 
Oggi Pisa, un tempo gloriosa repubblica marinara, mi offre occasione di chiamare  “premessa” ciò che sto per dirvi; si tratta, ripeto, di riflessioni molto personali suscitate anche in tempi recenti da avvenimenti che pur se lontani, hanno la prerogativa di coinvolgere.
In questa nostra Pisa, per quello che è stata e per quello che orgogliosamente, nel tempo, intende conservare e tramandare quale culla di una gloriosa repubblica marinara, viene spontaneo considerare che la presentazione di questo Quaderno e di questo Personaggio, non poteva trovare luogo più adatto.
Questo luogo lo ha trovato  in prossimità dell’Arno alla cui immediata foce di allora, gettarono le ancore galeoni possenti e paranze, paranzelle, bragozzi, chiatte e feluche.
La presentazione di questo Quaderno e di questo Personaggio, avvenendo in un luogo storicamente e gloriosamente marinaro offre degli elementi su cui mi è caro ritornare a riflettere anche per far riflettere.
Questi sono gli elementi per riflettere:
                              
- la nave;
- il mare;
- la libertà.
 
Per convinzione profonda non solo mia, sono la nave, il mare e la libertà i tre elementi che costituiscono nella storia del mondo l’idea della civiltà.
Attraverso il mito della nave è stato raccontato il modo in cui si sono sviluppate le civiltà del mondo.
Ma non solo:
il mito della nave è legato al sentimento della libertà fin dall’alba della nostra cultura;
l’Iliade è il poema della terra, la terra solcata dai carri guerrieri e dagli uomini che si combattono.
L’Odissea è il poema del mare, della conoscenza della libertà che cresce navigando e nell’incontro, tra culture diverse.
Dalla letteratura alla storia.
Dalla storia: il primo grande nemico della civiltà occidentale è la Persia che minaccia la democrazia di Atene.
La Persia è terra, è violenza dittatoriale;
Atene è aperta al mare, è libertà.
 
Anche in tempi recenti, dal mare, all’Italia aperta al mare, da una Terra lontana scoperta attraversando il mare, è giunta la libertà.
 
Nel mare la libertà.
 
La libertà culla della cultura, delle scoperte, delle scienze. La scienza con le sue “onde” marconiane, che  diffondono le conoscenze attraverso gli spazi sino allora silenziosi, muti. Le onde elettriche che offrendo la conoscenza, la fa crescere, la diffonde, l’amplifica promovendo di conseguenza la libertà.
 
Sul mare, sulle  navi che l’hanno solcato e vinto è nata la libertà.
 
Pisa, con il tempo non più repubblica marinara, tramite la sua marconiana Coltano ha irradiato negli spazi onde elettriche, ha potuto mantenere ed oggi intende rinverdirle, le sue storiche, antiche prerogative di apertura al mare e quindi alla libertà.
 
Pur se inconsciamente, guidato da queste riflessioni che sono, forse un po’ filosofiche, ma certamente e soprattutto anche sentimentali, ho ascoltato a suo tempo e riascoltato recentemente l’Ultimo Testimone.
 
Componendo il Quaderno che mi è offerta occasione di presentarvi, ho “riascoltato” raccogliendo e riunendo, l’essenza del racconto di quella grande e affascinante avventura.
Di quell’avventura marconiana che è anche marinara, sognata da un ragazzo, vissuta da uno studente, studiata da uno scienziato, narrata da un umanista.
 
Poi, dopo questa “premessa”, ecco gli accadimenti recenti che desidero raccontarvi. Essi hanno provocato la nascita e poi la stesura del Secondo Quaderno Marconiano che oggi sono stato chiamato a presentarvi. Quegli accadimenti  che ho ritenuto adeguati come “presentazione” riportandoli anche nel Quaderno,  oggi, in questa serata per me indimenticabile, desidero raccontarveli, leggendoli ad alta voce.
Gli accadimenti sono stati questi:
 
 “nella serata di plenilunio del 31 luglio di due anni fa, sulla suggestiva Piazza di San Pietro in Portovenere, promossa dall’Amministrazione Comunale e dalla Pro-Loco locale, ebbe luogo la presentazione del libro:
“Gino Montefinale – Un ragazzo di Portovenere”.



Ad ascoltare la presentazione, accorsero numerosissimi  portoveneresi  guidati dal loro Sindaco.
Accorsero anche alcuni ospiti del Borgo; tra questi, con Signora, il  pisano vostro (da tempo anche un po’ mio) dottore in medicina Roberto Spisni.
La presenza di questo dott. Spisni ha provocato la nascita del Quaderno che sono qui a presentarvi.
 
Perché vi chiederete?
 
Perché il dott. Spisni, all’epoca, era presidente del Lions Club di Pisa, e i Lions pisani, sempre all’epoca, erano (e sono tuttora rimasti) interessati al progetto di “rinascita” museale della gloriosa Stazione radiotelegrafica pisana di Coltano.
Ed allora?
Ed allora, ecco: 
la Stazione radiotelegrafica ultrapotente di Coltano, attrezzata negli anni ’30 con apparecchiature Marconi, fu realizzata sotto la direzione tecnica dell’ing. Gino Montefinale, all’epoca, capitano di vascello della Regia Marina e capo del Servizio Radio presso il Ministero delle Telecomunicazioni.
 
Questa notizia il dott. Spisni l’apprese leggendo il libro anzidetto. E senza porre tempo in mezzo ecco che il dott. Spisni corre alla Pro-Loco di Portovenere, parla con la generosa dotta Giuliana Calvellini Barsanti, ultima battagliera storica del Borgo rimasta; chiede ed ottiene notizie dell’autore di quel libro presentato e dopo, appena rientrato a Pisa dalle vacanze portoveneresi, ecco il primo contatto con l’autore; ecco l’idea; ecco lo stimolo; ecco questo Quaderno.
 
Raccolse il dott. Paolo Stefanini la “campana” di presidente Lions di Pisa, lasciata per statuto dal dott. Spisni al termine del mandato;
la raccolse  trovandovi… attaccata “l’idea”.
E Stefanini, l’idea non la “staccò”, non la abbandonò, anzi con identico vigore, con entusiasmo giovanile fece intravedere il possibile traguardo  dichiarando la linea che, tra l’altro, il suo programma intendeva seguire:
 
ERA  NEL  PROGRAMMA STEFANINI  LA  MEMORIA
 
Memoria di fatti, di personaggi, di luoghi, di scritti, di opere troppo fugacemente e spesso colpevolmente dimenticati.
Desiderio di ricordare e di far ricordare ciò che ha onorato questa nostra Patria.
Dopo Stefanini, ecco sorgere l’attuale presidenza dell’avv. Michele Barbieri.
Ci sono encomiabili, rare, preziose continuità di azione e di idee nei Lions pisani.
Michele Barbieri, non molla, rischia (sappiamo quanto si rischia andando in stampa) e avvalla con calore l’iniziativa marconiana dei predecessori.
Ed è nato un qualche cosa che io da tempo chiamo “memorie… senza fili”. Memorie… senza fili sono per me infatti il ricordo dei primi  e dei successivi passi  della radiotelegrafia che l’ Ultimo Testimone ha avuto modo di farmi conoscere: frequentandolo, ascoltandolo, leggendolo.
 
L’ Ultimo Testimone che vi presento è GINO MONTEFINALE.
 
I documenti autentici che nel Quaderno oggi presentato per benemerita iniziativa si è inteso raccogliere collegandoli con filo logico e temporale tra di loro, sono parte significativa di una notevole quantità di scritti che, attestando la nascita e la crescita di Montefinale, uomo di mare e di scienza, si ritiene possano indicare anche e soprattutto, le sue predisposizioni intellettuali e le sue scelte tecniche, scientifiche ed anche umanistiche.
La vita di Gino Montefinale ebbe inizio a Portovenere, si è sviluppata in un lungo e proficuo arco di tempo che nell’intrecciato mondo del mare e delle onde elettriche si è distinto nei tre precisi periodi che metaforicamente, in questo Quaderno, abbiamo desiderato così definire:
 
innamoramento – fidanzamento – matrimonio.
 
Innamoramento, fidanzamento e matrimonio con la radio di Guglielmo Marconi.
 
- L’innamoramento ebbe inizio con una visione;
 
- il fidanzamento con l’ingresso nel mondo della Regia Marina Militare;
 
- il matrimonio con l’addio alla Marina e l’inizio della collaborazione con l’Inventore.
 
In novantatre anni di vita, l’Ultimo Testimone, scrivendo e studiando e disegnando, ha lasciato tracce indelebili di:
arte marinara e militare, scienza delle onde elettriche, storia, panorami, scorci pittorici e mare.


Mare appena increspato dal sopraggiungere della brezza di maestro o squassato da superbe tumultuose onde;
mare silenzioso guardiano di preziose memorie; mare di casa, di sottocasa-torre di Portovenere.
Portovenere primo e ultimo custode di un mondo che fu.
 
E’ gioia profonda mia, di sangue misto toscano e ligure, il poter affermare che Pisa, tramite la marconiana Coltano, è possibile intenderla idealmente gemellata, per mezzo di Gino Montefinale, con la meravigliosa, preziosa, tonificante Portovenere fedelissima Colonia Januensis
 
Pisa, ha un’altra splendida occasione per dimenticare…“le Melorie” e  rappacificarsi definitivamente con Genova.
               
Concludo.
 
Con gioia, appassionandomi,  ho curato la preparazione di questo secondo Quaderno marconiano del Lions Club pisano, il cui autore è indiscutibilmente, “L’ultimo Testimone” -  Gino Montefinale.
E’ stato il mio infatti, in prevalenza, un lavoro di ricerca, di scernita, di assemblaggio e raccordo di suoi scritti, documenti, opere che come fine esclusivo ed ultimo ha avuto quello di sottolineare la autenticità del titolo che è stato dato a questo volume.
Con questo lavoro mi è stata nuovamente offerta la possibilità di immergermi (fino al collo) in quel mondo fantastico che sino ad allora “stagno silenzioso”, dopo, ha parlato, captando e sprigionando quelle “onde” portatrici di messaggi, musica, scienza, progresso, conquista, libertà.
 
Un grazie caloroso allora debbo a coloro che mi hanno offerto questa possibilità.
Pur avendoli già nominati,  intendo ricordarli ancora seguendo l’ordine anche temporale con il quale sono “apparsi” sulla mia strada:
 
Il primo ad apparire è stato Roberto Spisni; infaticabile… persuasore, e ricercatore, ed uomo del “fare” (non delle chiacchiere), E’ un marconiano fedele ed entusiasta Spisni; con un grande abbraccio è stato accolto e si intende trattenerlo a vita, quale membro illustre, nella famiglia dei marconiani doc.
 
E poi di seguito, nell’ordine, ecco Paolo Stefanini, uomo dal fiuto acuto che da idealista ha sviluppato “la memoria” e da sapiente umanista ha intravisto in questo Ultimo Testimone, anche i tratti dello scrittore, dell’artista… dell’ umanista. 

 
 
Ed ecco poi, anche per logica gradualità, l’attuale  presidente, l’avvocato Michele Barbieri.
Barbieri, sulla mia strada, l’ho intravisto avvolto da lieve foschia.
Mi è giunto come  eco il suo corretto, dotto,  parlare. Ho captato le sue idee “di rimbalzo”: le ho udite però chiaramente.
Michele Barbieri mostra di credere nelle cose in cui noi crediamo, mostra di agire con coraggio per affermare la vitalità e la validità  dei vostri ideali societari che, tra l’altro, intendono ridare visibilità ai personaggi ed agli accadimenti che hanno illuminato e Pisa e la nostra Patria. 
 
Sulla mia strada marconiana, però, apparve per primo Gino Montefinale.
Anche oggi, in questa occasione, dinanzi a un consesso illustre motivato da allettanti traguardi,  mi si offre la possibilità di esprimere un grazie nostalgico a Lui: magnifico, indimenticabile personaggio che anche da “Ultimo testimone” è riapparso  nel mio divenire portandomi serenità e… sapere.
Montefinale, con un solido “mattone” che è divenuto Quaderno, lo vedo idealmente  proteso alla ricostruzione della pisana Coltano.
Mi auguro che questo “mattone-Montefinale” riesca a gemellare Coltano con Portovenere, nel nome di Marconi.
Lions pisani vi indico un altro traguardo:
Il gemellaggio di Coltano con Portovenere. Raggiungetelo. 
 
E, finisco:
 
- grazie agli Ospiti illustri che sono qui convenuti;
 
- grazie caloroso, cordiale, commosso a voi Lions pisani che mi avete ospitato. Voi, Lions pisani siete ormai diventati miei carissimi amici.

 

 

 

 

Spero che il mio modesto impegno di far conoscere la figura del Grande Comandante “GINO MONTEFINALE” abbia ottenuto un positivo riscontro tra quanti hanno avuto la pazienza di seguirmi in questa disamina.

 

Avrei voluto essere io l’autore degli scritti su “GINO MONTEFINALE – l’ultimo testimone dell’Opera Marconiana”.

 

Paolo Noceti ha usato la penna con rara maestria riuscendo ad emozionarmi e, a volte, commuovermi.

 

Con lo scritto che segue Egli raggiunge punte altissime con la Sua lirica, perché di lirica si tratta, e sorprende, o forse no, la Sua venerazione, ma anche quella dei concittadini portoveneresi, per “l’Uomo Marconiano” che traspare tutta nel seguente brano:

 

 

 

 

"Ho avuto la fortuna di poter trascorrere accanto a Lui giornate ed ore indimenticabili.
L’ho chiamato anch’io Comandante ma, soprattutto “nonno”. Il Comandante infatti è stato il nonno dei miei figli.
Ma Lui, “nonno”, non è mai stato. Io con tutti di casa e con i portoveneresi, l’abbiamo sempre visto e sentito “giovane” e nella figura inconfondibile e nell’intelletto lucido e negli atteggiamenti, contemporaneamente modesti e signorili.
E’ un debito che vengo a saldare in tarda età questo mio scritto. Un debito soprattutto di riconoscenza per quanto il Comandante ha saputo con il suo esempio e con i suoi insegnamenti donare.
Vengo anche a saldare un debito verso la cara cugina Bianca Raviolo, portovenerese DOC che, non dimenticando mai la figura e l’opera del Comandante, mi ha stimolato con delicati sentimenti perché io… scrivessi.
Questo debito lo saldo con la collaborazione affettuosa e preziosa di mia moglie Anna Maria che, da buona ultima figlia di Gino Montefinale, mi ha aiutato nelle ricerche negli archivi di famiglia, ha suggerito aneddoti, ricordato il suo vissuto in famiglia, ha saputo, questo nel tempo, far amare a me ed ai nostri figli  i…”caruggi”, il mondo degli “scogli”, delle “calanche”, delle “isole” e del “mare” di Portovenere.
 Ricordando Gino Montefinale, accanto a Lui, desidero collocare la scià Nina, la “nonna” Nina, che parte importantissima ha senza ombra di dubbio avuto nel cammino “ad astra” del Comandante. La sua figura che tenderebbe ad essere oscurata dalla predominante personalità del “ragazzo di Portovenere”, si staglia invece con definiti, precisi caratteri quasi a voler sottolineare ciò che le unioni “indovinate”, serene,  riescono a concepire felicemente.
Un uomo eccezionale non poteva non avere per compagna di vita una donna eccezionale.
Occorrono fede, intelligenza, sottile intuizione, perspicacia, pazienza, silenzioso operare ed anche senso dell’umorismo, per convivere con persona in toto dedicata alla scienza, allo studio, al pensare.
 Del Comandante, la scià Nina, è andata fiera sino alla fine dei suoi giorni. E proprio sul finire dei suoi giorni, aiutata dal generoso nipote acquisito Sergio Ulgiati, è riuscita a veder premiato il suo  caparbio impegno proteso a far vedere la luce all’opera ultima del suo “ragazzo” ormai scomparso: Mondo senza fili.
E l’abbiamo ammirata, circondata da personalità illustri, eretta, sorridente, serena, schiva, in piedi al centro del lungo tavolo della sala consiliare del Municipio di Portovenere, presentare il “libro” che idealmente e moralmente era ed è anche il suo libro.
Questa immagine che ha preceduto di poco il suo tramonto è con noi e, lo desideriamo, con i portoveneresi veraci che ancora, pochi, rimangono.


Questa immagine sembra ammiccare:
una barca, due remi, un uomo, il mare... Lui, “Gino Montefinale”."

 

 

 

 


 

 

Intervento di presentazione del libro 


  GINO MONTEFINALE

 

 (Un ragazzo di Portovenere)
 
il 31 luglio 2004 a Portovenere

 


Non accade spesso nell’Italia involgarita e cinica che ci ritroviamo che qualcuno mostri coraggio, manifesti onestà intellettuale, sia di memento ai giovani, combatta con disinteresse per degli ideali, per la storia, per le tradizioni, per il suo paese.


Ebbene, qui a Portovenere, tra questi scogli crudi e dolcissimi; qui a Portovenere, nei suoi carugi scuri e luminosi, silenti e chiassosi, erti e piani e sempre baciati da brezze intrise di profumi iodati e, spesso, dall’odore di basilico, ebbene, qui a Portovenere, quella gente “coraggio”, quella gente “onesta”, quella gente “combattiva”, io l’ho trovata:
- ho trovato Giuliana Calvellini Barsanti: indomita lottatrice per difendere e salvare Portovenere dagli “Unni” invasori e ignoranti; dotta in lingua e in dialetto antico; onesta nella valutazione dei fatti e dei misfatti; divulgatrice impagabile delle tradizioni e della storia del Borgo; amante fedelissima di coloro che di questo Borgo esaltarono e le tradizioni e la storia; insostituibile e modesta dispensatrice di informazioni anche le più futili;
- ho trovato il dottor Emilio Della Croce, presidente emerito della Pro-Loco portovenerese, pacato, riflessivo, puntuale, riconoscente, esperto…”navigatore” in acque difficili per scogli aguzzi, subdoli, affioranti;
- ho trovato un’Amministrazione Comunale guidata da Salvatore Calcagnini, di recente eletto a gran voce da un popolo intelligente che in una Lista Civica ha saputo trovare l’antidoto per combattere “il virus”;
- ho trovato voi, cari amici portoveneresi; ho trovato voi che ormai da oltre quarant’anni giudico e considero miei compaesani adottivi.
Vi ho seguito nelle vostre lotte e con voi ho partecipato; vi ho seguito nei vostri dolori e con voi ho versato lacrime nel ricordare “i nostri antichi” perduti amici; vi ho seguito nelle vostre esultanze per i successi; vi ho seguito ascoltando i vostri mugugni ed anche le vostre ineguagliabili “battute” di umorismo sano, colorito e pungente.
 
Tutto questo l’ho trovato in parte oggi e in parte ieri. 
 
Prima di oggi e di ieri infatti, oltre quarant’anni fa, ebbi  la fortuna di calcare la terra del Cavo, assaporando laggiù lo sferzante salino spruzzo del maestrale, ascoltando laggiù, tra i pini e gli ulivi, racconti fantastici di viaggi, scoperte e conquiste, comprendendo il valore degli ideali non venali, che pagano poco, ma che colmano di inesauribile gioia la vita.


Allora, prima, oltre quarant’anni fa, ho calcato la terra del Cavo accanto all’Uomo che Portovenere, nel suo carugio, ha visto nascere e ha visto “ragazzo”. Allora, dal Cavo e poi dalla Villa D’Ottone, ho iniziato a comporre le pagine di un libro che voleva essere libro di ricordi, libro di storia, libro di sentimenti, libro di riconoscenza, libro di Un ragazzo di Portovenere, libro di e per Gino Montefinale.
E adesso, in questa serata portovenerese tutta vostra e mia, ecco che quel Ragazzo, ormai Uomo e per sempre perduto, lo vedo accedere attraverso “le Porte” del Borgo antico che Voi portoveneresi veraci avete socchiuso e oliato per agevolare ancora, ad invito, il suo passaggio.
Gino Montefinale, il Comandante, dopo lunga forzata assenza, accede e rientra stasera nel Borgo antico.
Accede, con il suo inconfondibile passo marinaro, a testa alta, prima leggendo “colonia Januensis”, poi guardando se intatti sono rimasti gli strumenti antichi che consentivano di ripartire le granaglie, poi ancora, fermandosi e guardando in alto, alle sue spalle, verso il sacro affresco che sovrasta dall’interno la porta principale.
Ecco ora riprende il suo andare, sfiora il portone di ingresso della casa paterna.
Il Comandante ha passato le porte ed è entrato nel carugio, non è entrato da solo. E’ seguito da una torma di “antichi” amici. Con lui vedo:
 
Matè e Virginio, Raffaele, Carlo Portunato, Massa, Trieste, i Manfroni, i Mantero, Richetto, Pierino, Aurelio Gianardi, Tonino, Maria, Ginetto Raviolo, Roberto Raviolo, Paolo Raviolo, Marietto, Meme, Claudio Pandolfo, Achille e Lauretta Reboa, i Canese, Andreino Sola, Natale Sturlese, Cristina Còmiti, Lina, Bina, Mariuccia D’Ottone, Livio Bello con sua mamma e Rosa ed Emo;

e poi ancora:
Guida, Piero, Arena,  Carmine, Turano, Nerina, Giorgio, Valdettaro, i Baldascini, Bastreri, Dondero, Saturno, Virginia, Antonuccio Frumento, Mario e Beppe Raviolo, Verdemare, Don Beretta, la signora Borghi, i Càrpena, Bruno Baracco, Carlo Amato, il Dotti,  la Olivieri, i Traverso, Macèra.   
 
Non ho il tempo di riconoscere tutti, sono tanti, una miriade; appaiono anche volti antichissimi, rugosi, bruciati dal sole, scarni.
Appartengono a personaggi che il tempo non mi ha offerto la possibilità di conoscere; molti si nascondono l’uno dietro l’altro; sono rimasti intrisi della predominante caratteristica  ligure: sono schivi. 
E procedono a passo veloce.
Loro oggi volano.
Volano anche per tornare “lassù”, ai piedi del Castello, nel Cimitero più bello del mondo,  lasciato da tempo, in stato di grave degrado.
 
Anche loro, molti di coloro che adesso attraverso il carugio lo accompagnano, lo hanno ascoltato estasiati durante le serate estive.
Lo hanno ascoltato quando le invasioni turistiche non erano ancora assordanti e ridondanti;
quando la “curva” non esisteva e i pullman scorrevano verso la Piazza del Re buono;
quando la casetta di Garibaldi mostrava i segni di quell’approdo storico;
quando il Convento secentesco era sede del Municipio e ospitava un cinema all’aperto;
quando una Mancina adeguata, antica, preziosa operava sulla calata di sogno;
quando il vaporetto di capitan Màttera emetteva suoni fumanti;
quando l’albergo principe di Portovenere si chiamava Locanda.
 
Con il poeta Gibran dico:
“Il Maestro che cammina all’ombra del tempio tra i discepoli non dà la sua scienza ma il suo amore e la sua fede.”
 
Coloro che lo seguono, un giorno lo ascoltarono narrare così:
 
“E’ remeggiando nella nostra rada all’età di 16 anni che:
- ricordo sempre quel mattino di luglio del 1897 – una tipica giornata dell’estate soleggiata del golfo dei Poeti – quando, girovagando in barca nelle nostre placide insenature, insieme al prof. Manfroni, vedemmo spuntare dal Cavo un piccolo rimorchiatore della Marina, il cui albero era stato allungato in modo inconsueto. Procedeva a piccolo moto, attardandosi lungo le allora romantiche calette, non ancora manomesse dalla modernità, fino a giungere all’imboccatura del piccolo stretto e sostare un po’ a lungo davanti alle case ed agli approdi di questo nostro storico Borgo.”
 

Quel rimorchiatore (il famoso n°8) era una delle prime, se non la prima navicella che Guglielmo Marconi ventenne, attorniato da adulti e attenti ufficiali della Marina Militare, utilizzava per dar dimostrazione pratica della sua invenzione.
 
Quel ricordo-visione narrato da Gino Montefinale ai suoi amici del Borgo, fu, per lui VATICINIO.
Gino Montefinale, un ragazzo di Portovenere,  dopo lo studio, l’Accademia Navale, il sacrificio, il duro impegno, la lunga vita di mare, divenne infatti “l’uomo di Guglielmo Marconi”.
Certamente, Gino Montefinale, è stata l’ultima fortunata persona che ha condiviso, prima come ufficiale della Marina Militare, poi come stretto  collaboratore dello Scienziato anche sulla fatidica Elettra, le grandi conferme e le inebrianti anticipazioni che “l’invenzione della radio” giorno dopo giorno annunciava.
 
Ieri come oggi che appare offuscata nella memoria patria e dei molti l’immagine del grande italiano, ricordando e desiderando togliere dalla polvere del tempo la figura di Gino Montefinale, ecco che sono andato a scrivere il libro che la Pro-Loco con la solerte, necessaria collaborazione dell’Amministrazione Comunale, ha desiderato fosse anche qui, nel luogo di nascita del protagonista, presentato a memento, ad onore, a gratitudine, ad esaltazione di un suo Figlio illustre, forse ad oggi il più illustre, che ha onorato Portovenere e la Liguria.
 
Ho scritto il libro affascinato dagli avvenimenti, dai personaggi, dai tempi, dal mondo di mare e di scogli in cui, il vostro concittadino, per intelligenza, per volontà, per impegno, ma anche e soprattutto per orgoglio ha saputo e voluto vivere, scrivendo, parlando e operando.
 
Ho scritto di Lui,  storico, giornalista, artista, scienziato.
 
Ho scritto di lui figlio, sposo, padre e nonno.
Ho scritto sognando e molti lo hanno compreso.
Tra i molti scritti e attestati ricevuti, ho, alla rinfusa scelto questi. Ve li leggo:
 
- Portovenere ti ringrazia, Viva il Comandante!
 
- Vai fiero delle tue idee e ricorda che il monumento lo hai fatto tu, toscano, a noi portoveneresi doc e non.
 
- Tu sei riuscito a suscitare in noi ricordi ed emozioni incredibili.
 
- Lei ha scritto un racconto più con le parole di un poeta che con quelle di uno scrittore.
 
- Ad accrescere la soddisfazione del leggerti, la consapevolezza che i mediocri non hanno gradito o meglio non sono all’altezza di comprendere, afferrare, gustare le cose, i fatti, che commuovono e appassionano noi.
 
- Il suo è davvero un ottimo lavoro, un testo di impegno e di minuziosa interessante ricerca, di piacevole e avvolgente lettura, scritto con passione, nobiltà d’animo e coinvolgente affetto. Gino Montefinale è di certo un punto di riferimento per tutti gli Allievi che, attraverso le esperienze e gli esempi positivi e nobili del nostro passato, trovano la conferma della loro scelta di vita. Il suo libro, opera di assoluto pregio e di doverosa consultazione, è già stato catalogato nella nostra biblioteca.
 
- Il suo libro l’ho trovato ricco di memorie e di appunti che dovrebbero far vibrare lo spirito di chi, seduto sotto i pini, non sa parlare che di pensioni e di diritti.
 
- Leggendola mi sono ritrovato con i miei ricordi, relativi all’ultimo periodo di vita dell’Ammiraglio, quando al mattino lo vedevo transitare dalle Bocche con il suo “geloso canotto” per andarsi a posizionare al largo della Grotta Arpaia per fare i suoi schizzi pittorici di cui ne conservo gelosamente uno nella mia casa.
 
- Nella lettura del piacevole libro, che presenta una veste tipografica molto elegante ed un testo essenziale e vivo, direi quasi attuale per i riferimenti ad una realtà del Golfo che in vari aspetti, negativi e positivi, conserva antichi e non mutati profili di usi, costumi, comportamenti, propensioni, ho ritrovato quei valori che la nostra Marina continua a coltivare con un senso dello Stato che vorremmo più ampiamente e più compiutamente vissuto dalla collettività nazionale.
 
- Molto dell’inchiostro usato da Gino Montefinale fu consumato in difesa della sua Portovenere, dove tornava appena poteva e dove scelse di trascorrere la sua ultima lunghissima primavera.
 
- In questa biografia il nostro Comandante ci affascina per l’intatta fedeltà alla sua gente, umili pescatori e naviganti, coi quali amava intrattenersi.
 
- Ho letto, per ora, solo alcune righe del tuo libro su Gino Montefinale, ma intuisco un’atmosfera che amo: la grande storia subita dai contemporanei ma rivisitata e resa viva nel diario dei protagonisti di quella vita.
 
- A tre giorni dal suo invio, ho già potuto leggermi tutto d’un fiato la biografia con emozione e tanta nostalgia di un così eccezionale personaggio, che ho stimato, ma ancor più amato per il suo giovanile entusiasmo e la ammirevole diligenza con cui rievocava le tappe percorse con il grande Marconi nel mondo delle onde elettriche.
 
- Devo veramente felicitarmi con lei per il modo essenziale, per nulla aùlico e commemorativo, ma al tempo stesso appassionato e partecipativo, con cui ha tracciato la vita di un grande, integerrimo ed eccezionalmente nobile personaggio.


Questa sera sento, commosso,  sincerità di sentimenti per il portovenerese Comandante Gino Montefinale.
Al turbine dei ricordi e di questi sentimenti fa da cornice la risacca antica di questo splendido vostro  mare.
 
Alla memoria del Ragazzo di Portovenere, perché i posteri sappiano che razza di uomini questo Borgo ha saputo dare:

una lapide Egregio signor Sindaco, con la Pro-Loco faccia tesoro, la prego, di questa mia/nostra proposta:
sul prospetto della casa che oggi, nel carugio intitolato a Giovanni Cappellini, porta il numero  25, sia posta una lapide che ricordi ai passanti ed ai posteri che: In questa casa  nacque il 9 giugno 1881 e visse la sua giovinezza


 Gino Montefinale


storico – scrittore - artista – dotto nella scienza delle onde elettriche Questa iniziativa, se raccolta, viene a cadere nel trentesimo anniversario della sua scomparsa (1974 - 2004).
Portovenere tutta, con la famiglia Montefinale gliene saranno grati. Profondamente grati.

 

Grazie Portovenere, sei la più bella.
Oggi, stasera, le tue vecchie  mura, vibrano; hanno assaporato  sentimenti ed hanno ascoltato memorie.
Mi auguro che, risentendo il nome del Comandante, la tua gente rinnovi, con l’orgoglio di appartenenza,  l’antico coraggio e l’antica forza.
La forza e il coraggio dei tuoi figli migliori che  solcando, amando, temendo e vincendo il mare, hanno avuto la capacità di conservare integro l’assetto del Borgo antico che, a sua gloria e a vanto d’Italia, è fatto e deve rimanere di scale, carugi, capitoli, calate, castello, chiese, cimitero, porte, mura, anfratti, grotte, orti e… di tanta, tanta poesia.
 
Grazie.