APPARATO PER ESERCITAZIONE NEI CORSI DI TELEGRAFIA DELLA MARINA MILITARE
APPARATO PER ESERCITAZIONE NEI CORSI DI TELEGRAFIA DELLA MARINA MILITARE

Da sempre i sacri testi hanno  stigmatizzato il rapporto 3:1  nella  metrica del Morse. Tralascio per il  momento rapporti diversi  di certi paesi  es: 4-1 ed altri.  Questo rapporto vale  per qualsiasi  tipo di tasto, lo si può  anche variare andando però fuori dai

canoni classici.  Non è raro ascoltare  manipolazioni con rapporto diverso dal  3:1 ad opera di pseudo velocisti che  stravolgono letteralmente il codice 

trasmesso allungando o accorciando  linee e punti, poi accorciano gli spazi tra i  caratteri e tra le parole con l’unico  risultato di una trasmissione indecifrabile e grottesca. In linea di                    

massima  la pesatura (weighting ovvero  pesatura) cioè il rapporto 3:1 deve  essere sempre rispettato, salvo piccoli  aggiustamenti quando si pratica 

la TAV al solo scopo di velocizzare  ulteriormente. Ma questo è un altro  argomento che non riguarda il tasto  verticale.  Spesso siamo portati a magnificare alcune manipolazioni particolari sia come cadenza che come metrica fino ad arrivare a dire, enfatizzando,  che è facile riconoscere  l’operatore ascoltando la sua  manipolazione . Gli Inglesi chiamano  “FISTS” queste piccole irregolarità 

personali.

Se da un punto di vista acustico può piacere un determinato suono fino a  rendere riconoscibile l’operatore è però  da dire che queste manipolazioni

essendo molto personali non rientrano  nei canoni  classici. Un riscontro lo possiamo avere monitorando queste  manipolazioni con uno dei software in

circolazione ricevendo solo caratteri alla  rinfusa.

 

Non ha senso allungare le linee con il verticale o con il semiautomatico rispetto ai punti, ne escono fuori dei suoni brutti a sentirsi e a volte incomprensibili. 

 

Tuttavia bisogna riconoscere che il  segnale perfetto doveva essere la  caratteristica dei telegrafisti di una volta  in quanto i messaggi dovevano essere

inequivocabili ma ora che quel  “mestiere” non esiste più spesso si  indulge in trasmissioni che si discostano  dalla normale metrica e cadenza e quindi

si enfatizzano frasi, si evidenziano parole ritmando il discorso e ciò lo rende più  vivo ed espressivo.

 

Ma come in tutte le cose “ in medium stat  virtus”. In buona sostanza debbono  essere variazioni di timing e di ritmo che  dovremmo ascoltare da chi usa tasti

manuali ma molto spesso si incontrano manipolazioni così  personali da diventare incomprensibili e  che provocano molte difficoltà a chi  riceve.

 

 LA MANIPOLAZIONE DEL TASTO VERTICALE

 

Forse molti non sanno che la telegrafia è  nata prima della radiotelegrafia e le comunicazioni in Morse avvenivano  senza l’emanazione di alcun suono. Su

una striscia di carta minuscola detta zona, tramite una macchinetta,  apparivano i caratteri ricevuti  in punti e  linee. Era chiaramente udibile il rumore

dell’ancoretta azionata da un relè che  batteva sugli organi di movimento che  azionavano il dispositivo di scrittura di  punti e linee sulla striscia di carta. Il

codice veniva poi tradotto in caratteri in  chiaro. Col tempo gli operatori  impararono  a tradurre i segnali morse  direttamente dal rumore del relè 

risparmiando tempo. Questo modo di ricevere venne chiamato “ricezione  sounder” ed in seguito per agevolare una migliore ricezione furono costruiti

dispositivi che amplificavano il rumore  della manipolazione.

Spesso si sente dire che la manipolazione  con il tasto verticale affatica  notevolmente. In parte è vero  ma solo perché viene praticata una

manipolazione scorretta, diversamente non si comprende come mai gli RT di  mestiere manipolavano per tutta la  durata del loro turno di servizio.

Forse è meglio fare una precisazione: è diventato abituale usare l’espressione  “manipolare” quando si trasmette, sia  con tasto verticale che con automatico o  similare, ma questo non è molto corretto  perché un tasto verticale non è  assimilabile ad un manipolatore, tuttavia  di solito non si fa distinzione e viene  usato il termine manipolazione per tutti.

Ci sono molti modi di impugnare il tasto  verticale, ma questo pur non avendo  molta importanza è una immagine del RT  che non depone a suo favore. E’ il

movimento del polso che determina la bontà o meno della trasmissione. Ma se il  pomello viene impugnato male come si  può pensare che il movimento del polso  sia ottimale?

 

Osserviamo bene le seguenti immagini  cercando di non imitarle.

 

 

 

 

 

Oggi abbiamo i nostri artigiani che  producono tasti perfetti  che in qualche  modo aiutano molto ma una volta era  diverso. Comunque un buon tasto deve

essere pesante e stabile, e la sommità  del pomello deve essere compresa tra i 6  ed i 7,5 cm dal piano di appoggio.

Ma non sempre questi parametri sono  stati rappresentativi, infatti il “tasto inglese” era caratterizzato da leva  robusta e pesante con fulcro

leggermente arretrato rispetto al centro,  una robusta molla di ritorno, altezza del  pomello, tant’è che nell’uso era disposto  molto vicino al bordo del tavolo e  l’avambraccio  non poggiava sul tavolo.

Malgrado negli anni fossero state  prodotte molte variazioni  a questo tipo  di tasto nulla cambiò nella fattura  massiccia e altezza del pomello.

Da prove effettuate sembra che  impugnando il pomello con le 4 dita  escludendo il mignolo, indice e medio  sopra e pollice ed anulare ai due lati, il  polso si muove con maggior scioltezza. I  muscoli interessati sono esclusivamente  quelli dell’avambraccio. 

L’avambraccio è composto da  due ossa  l’ulna ed il radio. All’estremità superiore  dell’ulna vi è un prolungamento detto  OLECRANO il quale poggia sul piano  quando si manipola (ma in alcune  occasioni non vi è appoggio, ad es. luoghi  angusti, spazi ristretti, uso campale, negli aerei ecc.).

 

Il radio si articola con le ossa del polso e  consente alla mano di compiere numerosi movimenti, seppure non troppo ampi  rispetto all’avambraccio, compresa

l’oscillazione del polso durante la  trasmissione. Il movimento che si fa  quando si impugna il tasto si chiama  pronazione interna ed i muscoli  interessati sono il piccolo palmare (flette  la mano sopra l’avambraccio), il grande  palmare (poco interessato, piega la  mano sopra l’avambraccio) il pronatore

rotondo ed il pronatore quadrato e,  in misura minore,  il brachioradiale.  

 

Grande importanza assume l’epicondilo,  protuberanza in corrispondenza  dell’estremità di un osso situato al di  sopra del condilo, sede d’inserzione dei  tendini epicondiloidei. Questi tendini  permettono l’estensione del polso e, se 

molto sollecitati, vanno incontro ad una  sofferenza degenerativa, causando i  tipici dolori dell’epicondilite. Chi non ha  mai sentito la parola “Glass Arm”? Ne  soffrivano i vecchi Radiotelegrafisti. 

 

Walter Candler, autore di un metodo,  discutibile, per l’apprendimento del  Morse, diceva che a volte si trattava di  un falso “braccio di vetro” o “paralisi del

telegrafista” poiché capitava che spesso  vi fosse una infezione in atto che  provocava dolore al polso, avambraccio,  collo, dorso e a volte emicranie. In tal

caso la cura era di tipo medico e nulla  aveva a che vedere il glass arm.

 

Nel lontano 1890 Horace Martin fece  parecchie ricerche al fine di evitare agli  operatori dei vecchi e pesanti tasti  telegrafici, di farsi venire il tipico male

dei telegrafisti dell’epoca,chiamato  fantasiosamente “glass arm”. Pigiare   ore ed ore su tasti verticali dal peso non  indifferente richiedeva maestria e forza e

alla lunga…

 

Ma anche ai giorni nostri appare evidente che  il crampo del RT ha una analogia con il  moderno “crampo da mouse”, entrambi  dovuti alla tensione di una posizione obbligata.

 

Horace Martin ideò il primo tasto con i  contatti in posizione orizzontale,  precursore del bug moderno, bug  a  causa del marchio della casa costruttrice,

Vibroplex,  rappresentato da un insetto 

(bug in inglese).

 

Tra i codici telegrafici  conosciuti  ricordiamo il Codice Internazionale detto  Continental negli USA, più veloce e  spumeggiante di quello Internazionale

con un numero inferiore di linee ed un  Timing flessibile, adottato a suo tempo,  quello Internazionale, dall’Italia ed in  uso tra i Radioamatori di tutto il  mondo  ed  il Morse Code impiegato in USA e  Canada per le trasmissioni via cavo. 

 

Giova precisare che il   “codice Morse”  essendo opera del geniale Alfred Vail dovrebbe a rigore chiamarsi  alfabeto Vail”. Il vero “codice Morse”,

invece, è semplicemente il dizionario  numerico usato, fino al 1837 o giù di lì,  nei primi “telegrammi Morse”,  includendo poi anche numeri e segni di  interpunzione esso è in realtà un  completo sistema alfanumerico.

 

Ma di questo ne riparleremo in altra sede.

 

Il tasto verticale ideale o straight key o  tasto manuale è quello tradizionale delle  Poste completamente regolabile.  La  produzione di tasti verticali è talmente  ampia da disorientare chi si avvicina a  questa arte.

Trovo la suddivisione dei tasti fatta da  Urbano Cavina I4YTE esaustiva in quanto  pone la produzione in due categorie:

 

tasti a leva corta e tasti a leva lunga.

 

Quelli a leva corta o braccio corto sono  più facili da manipolare  ed in caso di  sospensione del suo esercizio  all’operatore riesce agevole ritornare allo

status quos ante, diversamente da quelli  a leva o braccio lungo che esigono una  manipolazione più precisa ed una costante applicazione.

 

Allo studente RT non rimane che fare una  scelta del tasto che preferisce in base  alle due categorie esposte ed eventualmente, se è deciso ad andare 

avanti, evitare i tasti surplus e passare  direttamente ai gioielli prodotti dai nostri  bravissimi artigiani.

 

Personalmente prediligo il Marconi 213,  uno dei migliori tasti mai prodotti. Non  mi riferisco al Marconi  PS – 213A, tra  l’altro quasi introvabile, ma alla replica  ad opera di un grande artigiano.  Il

Marconi PS – 213 A venne anche  utilizzato da  ROMA RADIO  IAR  oltre  che da GENOVA RADIO ICB  ed andò  in pensione insieme alla Telegrafia.

 

Imparare ad usare un tasto verticale  richiede impegno e costante esercizio ed  è considerata un’arte. In gergo si diceva  “pesare l’ottone”, in lingua originale  “pounding the brass”.

 

La forma di un tasto, la sua disposizione  sul tavolo operativo ed il modo stesso di  azionarlo possono essere differenti da  paese a paese e la sua regolazione è il  risultato della conoscenza ed esperienza  del singolo operatore. I concetti qui 

espressi sono principi generali ed alcuni  accorgimenti ad uso   dei non addetti ai 

lavori.

 

 

 

La corretta posizione dell’operatore

 

 

Non servono molte parole per descrivere la posizione da assumere per operare col  tasto verticale, seduti in posizione eretta  e frontale davanti ad un tavolo di altezza  tale da permettere all’operatore di  poggiare l’avambraccio parallelo sul  tavolo di lavoro con una angolazione di  90 gradi rispetto al braccio facendo

perno sul gomito e precisamente su quella parte di osso chiamato “olecrano”.

 

Durante la manipolazione l’avambraccio  deve rimanere sempre poggiato  muovendo su e giù solo con il polso.

 

Questa posizione permette di operare per ore senza nessun affaticamento. Il  movimento di trasmissione viene fatto,  imprimendo alla parte terminale

dell’avambraccio, uno spostamento verso  il basso con oscillazione ampia ed  elastica  e mantenendo l’articolazione del  polso scioltissima. Mi riferisco,

ovviamente, ad una stazione base. I  movimenti del pomello, in giù per  chiudere il contatto ed in su per aprirlo,  avvengono tramite il polso che si alza

leggermente e si abbassa trascinando con se le dita poggiate sul pomello,  aiutato in questo dalla molla

del tasto. Questo tipo di manipolazione era chiamato "di polso" e veniva insegnato nelle scuole militari.

 

Talvolta un aiuto può anche  venire dall’azione del pollice ma in  questo caso è evidente che l’azione del

polso è carente.

 

Lo studente non dovrà commettere mai  l’errore di associare ai caratteri il punto e  la linea ma solo il suono di essi, dit per il  punto e daah per la linea con un rapporto  tra i due di 3:1 nel senso che una linea

ha una durata temporale di 3 punti.

 

Posto che il punto rappresenta l’unità di  misura di base, durante la trasmissione  quindi il punto equivale ad 1 unità  temporale, lo spazio tra punto e linea 1  unità temporale, la linea 3 unità  temporali, tra le lettere che formano una  parola 3 unità temporali, tra le parole 7  unità temporali.  

 

La regolazione del tasto

 

Inizialmente i contatti debbono essere  regolati molto larghi e la molla un po’  rigida. Nel tempo i contatti verranno  ravvicinati e la forza della molla 

diminuita. Alte velocità richiedono una  distanza minore tra i contatti ed una  durezza maggiore della molla per un  ritorno più rapido della leva. 

Il contrario per le basse velocità.

 

In linea di massima, e come punto di  partenza, la forza applicata per chiudere  i contatti è intorno ai 200 grammi ma  può anche arrivare a 400 in relazione a  diversi tipi di molla usata dal fabbricante

del tasto.

 

La tecnica di trasmissione  

 

La velocità di trasmissione non modifica i rapporti Punto-Linea-Spazi che  costituiscono una regola internazionale  alla quale ubbidiscono anche i Keyer. La cadenza è una caratteristica di ciascun  operatore  nel legare punti e linee.

 

Quando la Telegrafia era il sistema di  comunicazioni più usato l’operatore trasmetteva e riceveva dispacci,  messaggi, disposizioni, ordini e  quant’altro alla velocità commerciale  di 125 caratteri e l’accuratezza e  precisione era ricercata, rapporto 3:1.

 

I vecchi RT avevano una timbrica di trasmissione che si faceva riconoscere facilmente.

 

Ricordo che il motto della comunità cw ancora oggi è “Accuracy trascends  speed” cioè l’accuratezza della  trasmissione è indipendente e più importante della velocità. 

 

Non è richiesto di trasmettere in modo asettico come fosse un computer perché in questo caso l’operatore non sarebbe riconoscibile e nemmeno accattivante

una simile trasmissione. Indipendemente che si trasmetta con tasto normale o elettronico la regola non prescinde dai soliti rapporti punto-linea-spazio, quello che è tollerato, forse auspicato, è la cadenza che rende riconoscibili le varie  manipolazioni. 

 

Molti dicono che il rapporto 3:1 con  il tasto verticale non è possibile  perché il margine di errore è sempre

presente ma l’obiettivo di ogni RT è  quello di avvicinarsi il più possibile.

 

In merito a certe manipolazioni  indecifrabili alcuni dicono che è  un  codice che richiede dimestichezza

per essere decodificato ed equivale  al dialetto nella lingua italiana o alla calligrafia di ognuno.  

 

Esistono  infiniti  modi  o  stili  di  manipolazione morse come la  manipolazione americana, italiana,  coloniale, a mano morta (questa implica  una patologia del polso troppo sciolto), a

uncinetto, dei ferrovieri, tirata ecc., con legamenti e senza legamenti che  dipendono dalla nazionalità, dal sesso,

dall’età, dallo stato d’animo, dalla statura  o stazza, dall’interlocutore, dalla  stanchezza, ecc.  

 

I vecchi RT riuscivano a regolare il  tasto con rapporto di leva lunga con i contatti molto ravvicinati

privilegiando l’agilità di movimento  a causa della scioltezza del polso  quasi in simbiosi con il tasto. I

famosi BRASS POUNDER (pesatori di ottone), cioè gli ex operatori  anglosassoni, erano molto abili in

questo proprio in virtù di un polso  agile ed una salda presa con cui  impugnavano il pomello del

verticale, ed  erano molto abili  nell’effettuare punti e linee legati tra loro abilmente e con  meno

movimenti del polso (LIAISON), cioè legavano, cucivano, mettevano  insieme, tramite il gioco di polso, i  caratteri. Ma credo che non tutto era

da imitare, tant’è che a volte la  deformazione professionale,  supportata anche da maestria,

trasformava quest’ultima in un dialetto rispetto al Morse ufficiale, un dialetto non facile da decodificare, spesso costituito da  caratteri manipolati con saltelli fuori  tempo e distacco di una legatura.

 

Tutto questo, nel tempo, si è diffuso in vario modo e lo ritroviamo anche in alcune manipolazioni odierne, un  dialetto non facile da decifrare.

 

Gli americani identificano questa forma espressiva come HOG-MORSE  (morse porco).

  

I radiotelegrafisti, in tempo di guerra, sapevano  che il corrispondente poteva  essere riconosciuto da chi lo ascoltava. La caratteristica principale delle manipolazioni verticali militari era  punto  e linea con un solo spostamento del  polso verso il basso. La manipolazione a braccio sollevato era  simile a quella in  uso in GB con il tasto tenuto a bordo

tavolo. I britannici sapevano benissimo  che in situazioni d’emergenza o nel  campo d’operazione bellica godere dello

spazio per poggiare l’avambraccio  comodamente era a dir poco improbabile ragion per cui la loro (GB) scuola era ed è

di trasmettere col braccio sollevato, lo  fanno bene e in modo del tutto  spersonalizzato, vale a dire non riconoscibile, come se trasmettessero in stampatello. Circa la manipolazione “ad

uncinetto”  era insegnata nelle scuole militari, ai ferrovieri ed ai  postelegrafonici. 

 

La manipolazione coloniale era ed è a singhiozzo,  molto trascinata con spazi minori e linee più lunghe, oscillazioni più ampie,  

stravolgimento del rapporto punto-linea, manipolazione non corretta, punto iniziale più lungo.

 

Il morse americano è più veloce e pimpante di quello internazionale ed  ha meno linee. In passato 

esistevano operatori che erano in grado di padroneggiare sia il morse  americano che quello

internazionale.  Alcuni ricercatori   asseriscono che il modo più esaustivo per definire la manipolazione è quello di

paragonarla al linguaggio (la mano che telegrafa è come se parlasse). Il Morse  Americano è diverso dal Morse Internazionale e questo molti lo ignorano, anche addetti ai lavori. Infatti  esso  contiene linee di tre lunghezze diverse (T

= 3 punti, L = 6 punti, 0 = 9 punti) e lettere composte di soli punti con spaziature pressoché anomale.  A volte si manipola

in maniera così assurda che il Morse diventa  incomprensibile, con  un’accozzaglia di suoni assurdi e nessun rapporto di proporzione. E’ evidente che  nessuno impugna la penna allo stesso modo degli altri e nessuno ha la stessa  calligrafia e così è per la manipolazione, i  metodi sono tanti ma poi gnuno

personalizza il tutto, poi la manualità rende il perfezionismo del tutto inutile. E comunque il Morse non è una lingua come molti amano definirlo, piuttosto una  forma dell’alfabeto, simile a quella scritta,  che serve a comunicare in tutte le lingue usando le parole, la grammatica e la sintassi di quella lingua.

 

 

Di seguito riporto alcune precisazioni del Prof. Andrea Gaeta, ricercatore di linguistica autore di moltissimi scritti sulla Telegrafia Morse:

 

La lingua Morse non è una vera e propria lingua fonetica (linguaggio verbale), direi si avvicina alla lingua dei segni (gesti) dei sordomuti o in generale ai linguaggi non verbali. Orientativamente possiamo dire che il telegrafista che manipola per lavoro, specie se con precisione e “silenziosità” svizzera o teutonica), col suo tasto scrive. Quando manipola il tasto per diporto, per “chattare” con qualche amico lontano, col suo tasto e con la sua mano parla. Nel primo caso il timing è più rispettato, nel secondo la mano obbedisce solo alla sua arbitrarietà.

Circa il rapporto di timing punto/linea più noto 1:3  esso è il più “accreditato” unicamente perché è quello che è stato più semplice realizzare nei trasmettitori automatici. Il timing fisiologico invece, pur certamente esistendo non ha necessariamente questa “pesatura” imposta, ma dipende invece dalla taratura delle molle fisiche del tasto e da quelle “fisiologiche” dell’operatore. Variando una o entrambe queste calibrazioni si può tranquillamente arrivare, rimanendo  ottimi telegrafisti, al rapporto 1:2 e forse, all’opposto, anche quasi al rapporto 1:4, sempre, beninteso, mantenendo costante la frequenza fondamentale fisiologica di manipolazione,  con l’unico punto fermo che per ogni ciclo si generano due punti o una linea, indipendentemente dalla durata temporale o angolare (pesatura). Circa il “tono muscolare” del braccio che telegrafa,  tutti i testi si limitano a dire che il polso deve essere perfettamente flessibile  e nessuna parte della mano deve avere rigidità.

Il resto è affidato all’empirismo, la pratica “basta e avanza”. Invece il Morse si presta moltissimo all’approccio scientifico.

 

 

 

 

Interessanti anche le brevi note del

Prof.Mario Lucidi:

 

I “morsisti” nel gergo telegrafico italiano venivano distinti in orecchisti” e zonisti”, a seconda se “ricevevano” a udito col solo ticchettio delle macchine

telegrafiche o del sounder, senza

guardare la strisciolina di carta o “zona” su cui venivano segnati i punti e le linee Morse, oppure se sapevano “ricevere” a vista, cioè dalla zona. In genere le due

specializzazioni non coesistevano e,

inoltre, la maggior parte dei morsisti

riceveva disinteressandosi della zona, che erano costretti a usare solo per documentazione. Ebbene, nella ricezione a udito i telegrafisti molto esperti non ricevono più a punti e linee, ma unicamente col suono, con la musica. La velocità di ricezione è tale che non esiste più il codice, o alfabeto, Morse.  In tal

caso la telegrafia Morse è diventata

una vera lingua e trasmettere

impugnando un tasto Morse, il classico “verticale”, è assimilabile a scrivere impugnando la”penna”. Per similitudine non possono esistere telegrafisti analfabeti, nel senso che non si può ricevere se non si sa trasmettere, e viceversa. Ne deriva che alla coordinazione mano-occhio (scrittura) e bocca-orecchio (orale) di tutti gli alfabetizzati bisogna sostituire la coordinazione mano-orecchio dei telegrafisti.

 

  

L’altezza della sedia, la postura del telegrafista, l’appoggio del gomito hanno  enorme importanza, come tutti sappiamo, però gli inglesi operavano in piedi e con il  braccio fuori dal tavolo.

 

La prima cosa che l’allievo RT dovrà fare è quella di memorizzare il suono dei caratteri ad una velocità non troppo  bassa (15-20 WPM) ed una volta

memorizzati i suoni di tutte le lettere ed i numeri cominciare a trasmetterli col  tasto scollegato dall’apparato  mantenendo inizialmente i contatti molto larghi e regolando la resistenza della molla un po’ rigida. Aiutandosi con un  programma per computer l'allievo dovrà ascoltare i caratteri e simultaneamente  trasmetterli. In questo modo migliorerà  la cadenza di trasmissione.

 

Man mano che progredisce i contatti  andranno ravvicinati e la forza della  molla diminuita. Il secondo step è quello  di  collegare il tasto ad un oscillofono e  provare a trasmettere.

 

La forza della molla dovrà essere regolata applicando sul pomello un peso intorno ai 200 grammi ma, come sempre,  è una regolazione di base da cui partire salvo trovarne un’altra più congeniale.

 

Utilissimo sarà l’uso di un computer dotato di apposito software per memorizzare il suono dei caratteri e  monitorare la propria trasmissione.

 

L’allievo che sta imparando dovrebbe  evitare di aver fretta e uscire in aria.  In tal caso rispondere, eventualmente,  a chiamate fatte da operatori di pari

livello tecnico.

 

Ma più di mille parole è meglio la pratica, basta guardare la trasmissione  di Lino  IZ0DDD, noto RT di Mestiere, col suo  verticale Marconi 213 costruito per lui da  Alberto Frattini I1QOD.